“Fuori binario. Bisessualità maschile e identità virile”
Intervista all’autore Giuseppe Burgio
La ricerca scientifica sulle persone con un’identificazione bisessuale non è neppure lontanamente paragonabile a quella che concerne le persone omosessuali.
Quali sono le ragioni sottese a tale lacuna?
La bisessualità come oggetto autonomo di studio ha non da molto fatto ingresso nella ricerca scientifica: il primo comportamento sessuale a essere nominato è stato l'omosessualità (maschile e, solo dopo, quella femminile), successivamente – e specularmente – abbiamo nominato l'eterosessualità, finendo però per intendere l'una e l'altra in modo dicotomico, e come se non esistesse nient'altro. Ciò è stato effetto di una rappresentazione sociale dell'orientamento sessuale come identità, quindi come oggetto coerente, stabile, omogeneo e senza sbavature. Il comportamento bisessuale, caratterizzato invece proprio dall'alternanza di partner di differenti generi, non era leggibile, e veniva definito come ambiguità, indecisione, come una fase transitoria, come perversione, o addirittura come falsa coscienza di chi non voleva assumersi la responsabilità politica e la visibilità di un'identità omosessuale. In realtà, invece, il comportamento bisessuale appare diffuso in moltissime culture e ha accompagnato la storia umana, essendo – secondo studiosi come Broquae Kirkpatrick, ad esempio – addirittura più diffuso del comportamento esclusivamente omosessuale. Ancora più diffuso, secondo le indagini sociologiche, appare il desiderio bisessuale (indipendentemente dalla sua realizzazione). Più ridotta è invece la percentuale di uomini e donne che assumono un'identità bisessuale, “dicendola” a se stessi e alla società. Ciò – a mio avviso – è effetto di quella che viene chiamata bifobia, la discriminazione delle persone bisessuali messa in atto tanto dagli eterosessuali (come avviene contro gay e lesbiche) quanto – purtroppo – anche da persone omosessuali. Inoltre, il coming out delle persone bi, da una parte, comporta l'accesso a una “comunità” bisessuale strutturata solo in città molto grandi e, dall'altra, potrebbe complicare la vita sentimentale e sessuale: “dici che sei bisex perché non vuoi impegnarti con me in una relazione”, “hai il doppio delle possibilità di tradirmi, con gli uomini e le donne”, etc. Questa scarsa visibilità sociale è concausa di quella presente nel campo scientifico, nel quale si aggiunge anche un problema epistemologico: il concetto di identità di orientamento sessuale, che si fonda sulla stabilità, riesce al massimo a “vedere” (come un terzo orientamento sessuale, da aggiungere a etero e omosessualità) solo le forme di bisessualità in cui il desiderio si orienta, coerentemente e stabilmente, verso uomini e donne in egual misura, ma non “legge” tutte le altre forme di bisessualità – transitorie, “sbilanciate” verso un genere, situazionali, istituzionalizzate, etc. – che la storia umana conosce.
Lei, Professore, formula l’ipotesi che comportamenti, in realtà, bisessuali siano stati descritti come omosessuali. Quale approccio ha adottato per “rileggere” l’estesa letteratura scientifica già presente sull’omosessualità?
Studiare la bisessualità comporta il doversi scontrare innanzitutto (oltre che con la limitata visibilità sociale delle persone bi) con una grave penuria di studi su questo tema, rispetto ad altri. Per smentire quanti/e affermano che “la bisessualità non esiste” ho attuato una strategia di ricerca trasversale: rileggere la sconfinata letteratura scientifica sulle omosessualità cercandovi esempi di comportamento bisessuale, a partire dall'ipotesi che la concezione dicotomica (etero-omo) di cui dicevo poco fa avesse portato a etichettare come omosessuali comportamenti che in realtà erano bisessuali. Ho scelto poi di concentrarmi sulla sola bisessualità maschile, dato che questa mostra caratteristiche piuttosto differenti da quella femminile e dato che è più corposa la mole di studi che la riguarda. Dall'analisi delle varie tipologie di omosessualità maschile è così emerso come, ad esempio, nella pederastia greca ogni ateniese avesse – nell'arco della sua vita – un comportamento che oggi definiamo bisessuale. Quell'Atene del V secolo a.C. che solitamente viene descritta come una sorta di paradiso gay era in realtà popolata da uomini dal comportamento bisessuale, dato che l'omosessualità esclusiva vi era stigmatizzata (ad esempio, nelle commedie di Aristofane). Anche quelli che la medicina dell'Ottocento definiva “invertiti” lungi dal fare sesso con altri invertiti, avevano come partner uomini dal comportamento bisessuale. Anche lo sciamanesimo costituisce un esempio di comportamento bisessuale e sappiamo pure che alcuni dei gay contemporanei possono saltuariamente avere rapporti soddisfacenti con donne (anche se ovviamente con una netta prevalenza di partner maschili). Anche nei luoghi di incontri all'aperto, dove fanno il cosiddetto cruising uomini che consideriamo gay, una ricerca di Ramello ha individuato tra i frequentanti – oltre a quelli che si identificano appunto come gay – anche uomini che si identificano come bisessuali, eterosessuali o “normali” che sono in relazioni eterosessuali. Potremmo continuare a lungo, ma già questo basta ad affermare che esiste un dossier di esempi (storici, etnografici e sociologici) che ci autorizza ad affermare l'esistenza di uno “spazio” bisessuale finora misconosciuto.
Un dato incontrovertibile è la crescente sperimentazione sessuale praticata dall’eterosessualità maschile. Quali risultanze si possono ricavare, osservando desideri, pratiche e rappresentazioni?
L'eterosessualità è sicuramente il comportamento sessuale più diffuso ma, paradossalmente, risulta molto poco studiato. In particolare quella maschile è studiata solo in relazione alla violenza di genere e sessuale, alla fruizione di pornografia e sex work etc. Specularmente al lavoro fatto sulle omosessualità, ho allora condotto una ricerca sulle eterosessualità (anche queste al plurale), evidenziando come in spazi omosociali – come collegi, monasteri e carceri – abbiamo esempi di comportamenti omosessuali di soggetti che però definiremmo eterosessuali. Bisessuale è, poi, anche il comportamento di quei ragazzi che, ad esempio nel Maghreb, fanno sesso con i turisti europei (mantenendo un ruolo “attivo”) ma hanno anche rapporti con donne. Si tratta di quella “sessualità mediterranea” che ha reso in passato anche il nostro meridione meta del turismo omosessuale di Van Gloeden, Krupp,d'Adelswärd-Fersen, von Plüschow, Symonds, etc.Lo stesso comportamento sessuale ambivalente possiamo dire di molti sex worker (che hanno una loro vita sessuale con donne) e di alcuni attori porno eterosessuali che performano anche scene omosessuali e che per questo vengono detti “gay for pay”. In sociologia è poi ormai emerso il profilo dei “prevalentemente etero”: uomini che hanno un orientamento sessuale e sentimentale diretto verso le donne ma, occasionalmente, si dedicano al sesso con ragazzi perfinalità esclusivamente ludiche e di godimento. Oltre a questi uomini – che vengono definiti anche eteroflessibili o bicuriosi – è stato studiato poi il cosiddetto Dude Sex, gli incontri – spesso concordati su piattaforme online – tra uomini che si identificano come eterosessuali, si dichiarano distanti da quello che definiscono lo stile di vita gay (talvolta sono anche schiettamente omofobi) e che affermano di cercare con uomini il sesso che sognano dalle donne: certo, diretto, senza corteggiamento e senza preliminari. Abbiamo poi esempi di comportamento bisessuale in adolescenza, età tradizionalmente associata alla sperimentazione, che oggi appare sempre più caratterizzata da una scanzonata fluidità sessuale. E non bisogna infine dimenticare tutte quelle attestazioni antropologiche in cui uomini dal comportamento eterosessuale (così li definiremmo noi occidentali) hanno comportamenti omosessuli limitati però a specifiche occasioni festive e rituali. Tra le pieghe dell'eterosessualità maschile, così come in quelle dell'omosessualità, è insomma rinvenibile una serie di esempi di un comportamento che non possiamo non definire bisessuale. Tale dossier, che ho raccolto in Fuori binario, spinge a ripensare le nostre categorie teoriche a partire da quella di orientamento sessuale.
Data questa opportunità di ampliare il concetto stesso di orientamento sessuale, quali compiti ritiene che debba affrontare il movimento LGBTIQA+?
È in realtà proprio grazie al concetto di orientamento sessuale che il movimento LGBTIQA+ ha ottenuto in alcuni Paesi occidentali alcuni diritti. La legge sulle unioni civili è ad esempio figlia di questa concezione che vede l'omosessualità non più come un vizio, un peccato o una malattia ma come un desiderio innato, stabile e coerente che non può essere modificato. Ciò ha però contemporaneamente portato all'invisibilizzazione di altri desideri che non presentano queste caratteristiche. Anche oggi, ad esempio, io non sarei in grado di elencare le istanze politiche del movimento LGBTIQA+ italiano che esprimono attenzione ai bisogni delle persone bi. E alcuni bisessuali lamentano poi discriminazioni anche all'interno di questo movimento. Ciò dipende dal fatto che le/gli/lu attivist* non possono non avere inconsapevolemente interiorizzato, almeno parzialmente, gli stereotipi e i pregiudizi presenti in una società caratterizzata da un pensiero fortemente dicotomico. Il senso comune individua infatti solo due sessi (ignorando le persone intersex), due generi (tormentando le persone trans, specialmente se non binarie) e due orientamenti sessuali (cancellando le persone bi). Sulla base della critica al binarismo, è secondo me allora possibile pensare una sorta di alleanza teorica e politica tra persone intersex, trans e bisex, un'alleanza che potrebbe portare a un allargamento e a un rinnovamento dell'agenda politica di un movimento che già oggi è sempre più inclusivo, sempre più capace di riconoscere le istanze di una fluidità di genere e sessualità che sempre più sembrano caratterizzare le giovani generazioni.
Professore, perché, nonostante le dichiarazioni d’“apertura”, soprattutto a seguito di dolorosi fatti di cronaca, la morale sessuale è uno degli aspetti in cui la nostra civiltà è progredita di meno negli ultimi 4000 anni?
In campo morale non userei termini come progresso o regresso, data la difficoltà teorica di trovare parametri di riferimento che non siano mutevoli dal punto di vista storico, sociale e culturale. Sicuramente, la morale sessuale che le istituzioni politiche e religiose, nonché alcuni intellettuali e alcuni partiti di destra, affermano di difendere appare sempre più lontana da quelli che le indagini scientifiche ci dicono essere gli effettivi comportamenti sessuali nella nostra società. Quelle che spesso appaiono posizioni da “sepolcro imbiancato” appaiono però trovare un collante politico in una concezione che vuole affermare la superiorità di un'eterosessualità normativa su tutte le altre forme di sessualità, che stigmatizza il ruolo sessuale ricettivo privilegiando quello insertivo, che non tollera le persone che non si conformano a ruoli maschili o femminili stereotipati, che vede l'identità di genere come effetto necessario, come conseguenza meccanica del sesso genitale (colpendo così le persone trans e ogni varianza di genere), che vede nel lesbismo una minaccia al fallocentrismo e che, per tornare al nostro tema, non può accettare comportamenti che non ricadano nelle categorie oppositive di etero o di omosessualità. Questo coacervo fobico e intollerante di pregiudizi, che spesso si trasformano in discorsi e crimini d'odio, dovrebbe essere l'oggetto di un auspicabile processo educativo ed autoeducativo che coinvolga la società in direzione di una sempre maggiore inclusività. Molta appare però la strada ancora da fare, se pensiamo – ad esempio – che nel nostro Paese non esiste alcuna forma di educazione all'affettività e alla sessualità nelle scuole, o che ogni tentativo di discutervi temi relativi al genere e ai desideri viene ostacolato dallo squadrismo organizzato dei gruppi cosiddetti no-gender, nonostante il fatto che le rilevazioni scientifiche ci dicano che le questioni di genere e sessualità risultino al primo posto tra i bisogni formativi che gli studentu individuano come disattesi.
Giuseppe Burgio, professore associato di Pedagogia generale e sociale all’Università degli Studi di Enna “Kore” e Graduated Sylff Fellow della Tokyo Foundation for Policy Research, è direttore del CIRQUE (Centro Interuniversitario di Ricerca Queer). Tra i suoi volumi ricordiamo: Mezzi maschi. Gli adolescenti gay dell’Italia meridionale (2008) e Adolescenza e violenza. Il bullismo omofobico come formazione alla maschilità (2017), quest’ultimo vincitore del Premio nazionale della Società Italiana di Pedagogia.