Gesualdo Bufalino, l’uomo invaso dalla letteratura
Quando nel 1981 uscì Diceria dell’untore, un romanzo che a quei tempi non ci aspettavamo, nel mondo culturale avvenne un terremoto perché scoprimmo davvero un grande scrittore di nome Gesualdo Bufalino.
Quel libro diventò un autentico caso letterario, non se ne vedevano da anni, e il suo autore un classico contemporaneo.
Lo scrittore di Comiso, siciliano nel DNA come il suo amico Leonardo Sciascia a cui si deve la sua scoperta, si affacciò in età avanzata alla finestra della letteratura italiana con un romanzo inattuale, «crudelmente laico» lo definì Enzo Siciliano in una recensione, sul problema del male, l’inesorabilità del dolore e il rovescio della vita.
Bufalino nel corso degli anni, dopo quell’esordio potente, ci regalò altri libri inattuali, anzi ci fece dono di una straordinaria letteratura inattuale ancora oggi tutta da leggere.
Quest’anno ricorre il centenario della sua nascita. Bufalino è nato a Comiso il 15 novembre 1920 ed è morto a Vittoria il 14 giugno 1996.
L’opera di Gesualdo Bufalino, scrive Alessandro Cinquegrani ne La partita a scacchi con Dio, un volume monografico dedicato all’opera dello scrittore, si propone come un variegato e meraviglioso universo in cui la forza del mito abbraccia una biografia di fatta guerra, malattia e claustrofilia.
Per Bufalino la letteratura è tutto, come la vita, un interessante qui pro quo da frequentare con tutto il suo bagaglio laico di equivoci scettici.
«Curarsi scrivendo ma, – scrive in Qui pro quo un libro del 1991 – fra i piaceri della scrittura, scegliendo il più ingenuo: lo stesso di chi riempie lo schema d’un cruciverba o disegna una faccia sul rovescio d’un francobollo».
Bufalino scrive perché ama le scommesse delle parole, mette alla prova la compatibilità di certi eccessi di stile con le ingegnerie dell’intreccio.
Gli piace intrattenere i lettori, proponendo burle e trucchi, personaggi e macchiette rigorosamente incredibili, tirare a salve su una sagoma fatta a propria immagine e somiglianza.
Questo è il ritratto di Gesualdo Bufalino, uno scrittore che mai si specchia nelle parole che non si autocompiace ma cerca sempre nella scrittura una partitura musicale da suonare insieme agli altri.
«Eccoci dunque al nodo finale: – scrive Massimo Onofri nell’introduzione all’edizione Bompiani di Argo il cieco, il secondo romanzo di Bufalino – di ogni protagonista di Bufalino c’è sempre e soltanto quel personaggio – uomo, il quale “se gli chiediamo di farsi conoscere (…) gira il risvolto della gabbia, esibisce la placca dove sta scritta la più capitale delle sue funzioni, che è insieme il suo motto araldico: si tratta anche di te».
Bufalino, dall’angolo remoto della sua Sicilia, con Diceria dell’untore dette scacco matto al Secondo Novecento italiano.
Finalmente è nato un grande scrittore inattuale che trascina la penna come una gamba zoppa, ara la carta per amaro farmaco e penitenza.
La scrittura, questo miracolo di creare un po’ di suoni e segni, una bolla d’inesistenze ciarliere; finisce per apparirgli un’azione losca, una colpa.
Gesualdo Bufalino lo scrittore malpensante, il grande genio inattuale che considera la letteratura, come la vita, un grande e cosmico qui pro quo, un viaggio senza ritorno nelle menzogne della notte, dove si incontrano sempre le cere perse di un vissuto che ci apparterrà per sempre.