Il mondo stesso è il giudizio universale

Dice Schopenhauer che Il mondo stesso è il giudizio universale. Frase lapidaria che conclude il suo discorso sulla giustizia eterna, che non ha nulla a che fare con quel senso comune che abbiamo di giustizia, caposaldo dello Stato, e che non ha nessun valore etico, in quanto basata solo sugli atti e sui fatti. Così la pena non è altro che un mezzo attraverso cui si consolida l’immagine di quel contratto sociale che va preservato dalle manifestazioni di Eris, ossia la discordia tra gli uomini. Ma ciò è solo ingiustizia, giacché con il male si risponde al male. La legge del taglione è da sempre espressione della ragione umana, anche quando vuole rieducare. Se invece è la volontà la cosa in sé, mentre il fenomeno ne è la sua rappresentazione, la giustizia eterna è ciò che si disvela attraverso la volontà e ciò che accade è giusto, concreto, in quanto se non cambia la volontà non può cambiare neanche il fenomeno, quindi la rappresentazione.

La giustizia umana, figlia della ragione, è dunque insensata. Basta infatti guardarsi intorno, notare come nella quotidianità ci siano indifesi emarginati trattati come bestie, mentre farabutti, ladri, assassini ricevono onori e gloria. E che dire di quel fato che continua a opprimere già chi è indigente, mentre il malvagio gode di buona salute, di fama e di ricchezza. Pertanto, per la natura cos’è la giustizia se non una parola vuota e priva di significato? E noi quale Stato serviamo e quale contratto sociale abbiamo sottoscritto?

Nella confusione odierna, in cui ogni valore e ideologia sono interscambiabili, barattabili e addirittura annullabili, non ci ritroviamo davanti al puro agire della volontà? Se proprio Schopenhauer sbeffeggia Leibniz e il suo migliore dei mondi possibili, allora questo è il mondo della sola volontà che cieca si aggira e lascia le sue tracce?

C’è un altro aspetto importante che Schopenhauer sottolinea: tutto ha origine dalla volontà, anche ciò che nella realtà, nella rappresentazione, appare come due fenomeni separati e opposti. Esempio: il male sia per chi lo compie sia per chi lo subisce. Allora, quel principio di individuazione, base dell’egoismo, espressione di una smisurata volontà di vita dell’individuo che lo fa sentire separato dagli altri e lo spinge a usare qualsiasi mezzo pur di soddisfare i propri desideri, viene messo in discussione. Qui, in questo dubbio, quando si interroga sul male che fa e su quello che subisce, l’individuo si riconosce fenomeno di un’essenza comune, quindi non più separato dal suo simile. Egli avverte intimamente d’essere vittima e carnefice.

È in questa crepa generata da una lampante intuizione che egli avverte la presenza della giustizia eterna, trascendente, al di sopra del fenomeno. Ed è questa l’immagine dell’eternità in cui la volontà non smette mai di volere, rendendo tutte le cose perfette, anche quando compaiono a noi ingiuste. Perché la volontà mai si sazia, mai si ferma, mai abdica; essa sta al di là del tempo e dello spazio, e travolge ogni cosa, perché ogni desiderio soddisfatto apre le porte a un altro desiderio da soddisfare; e ciò rende l’uomo la manifestazione della volontà.

Volontà che non conosce bruttezza, bellezza, giustizia, ingiustizia, bontà e malvagità.

(Già su borderliber.it del giorno 1/8/2022)