La fraternità

“Caino parlò al fratello Abele. Mentre erano in campagna, Caino alzò la mano contro il fratello Abele e lo uccise. Allora il Signore disse a Caino: ‘Dov’è Abele, tuo fratello?’ Egli rispose: ‘Non lo so. Sono forse io il custode di mio fratello?’ Riprese: ‘Che hai fatto? La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo!’ ” (Genesi 4, 8 - 10).

Il Signore vuole che Caino risponda alla fraternità dovuta al legame tra di loro e alla responsabilità che lo lega all’altro. Secondo Lévinas1 la “rabbiosa domanda di Caino” – “Sono forse io il custode di mio fratello?” – “è all’origine di ogni immoralità”.

Caino era custode di suo fratello. Naturalmente io sono il custode di mio fratello, in quanto il suo benessere dipende da quello che faccio o mi astengo dal fare per lui. La moralità si fonda sulla responsabilità di venire incontro al bisogno dell’altro. Sono un essere morale perché riconosco quella dipendenza e accetto la responsabilità che ne consegue. “Il prossimo mi concerne […] La comunità con il prossimo comincia nel mio obbligo nei suoi riguardi. Il prossimo è fratello”2.

Nel momento in cui metto in dubbio quella dipendenza e chiedo, come Caino, che mi si dica per quale ragione dovrei prendermi cura di mio fratello, vengo meno alla mia responsabilità e non sono più un soggetto morale; esco fuori dalla sfera morale. “La dipendenza dal fratello è ciò che fa di me un essere morale. La dipendenza e la morale o si danno insieme o non si danno” (Zygmunt Bauman).

Secondo Lévinas è il desiderabile che allontana da sé per inviare l’uomo all’altro uomo. L’altro è all’inizio, precede sempre, non c’è l’Io senza la precedenza dell’altro. Noi veniamo al mondo in un luogo già reso abitabile dell’altro e non c’è umanità prima dell’essere convocati, chiamati dall’altro. Il soggetto si costituisce in quanto risposta ad una domanda che lo precede e che viene dall’esperienza del volto dell’altro. “Chi non ama il prossimo che vede, non può amare Dio che non vede. Chi ama Iddio, ami anche il proprio fratello” (Prima Lettera di S. Giovanni, Segni della Carità; 4. 20 - 21).

La prima esperienza che facciamo è della fraternità in famiglia che è minacciata fin dal suo nascere. Se si osservano due fratelli gemelli che succhiano il seno della madre, è facile vedere come uno dei due tenta di allontanare l’altro negando la fraternità. Successivamente ci sarà competizione per l’affetto dei genitori, poi per l’eredità e così di seguito.

La fraternità è una realtà costitutiva, ma così fragile perché bloccata dall’istinto del male che è accovacciato alla parte del cuore di ciascuno di noi e che bisogna contrastare. “Verso di te è la sua brama, ma tu devi dominarlo” (Genesi, 4,7).

L’uomo contemporaneo ha elaborato un sistema culturale globale che si dà come obiettivo supremo uno sviluppo tecnico-scientifico fine a sé stesso, alimentando “una riflessione politica incapace di nutrirsi di idee in conflitto, combinare realismo e utopia, restituire il senso dell’incredibile avventura umana e riformare l’ordine esistente”, nel nome di un’umanità intesa come comunità che condivide un medesimo destino per cui nessuno si salva da solo3. Perso il riferimento al Sommo Bene, a Dio, resta l’amore del sé.

Lévinas ribadisce in termini originali l’essenza degli insegnamenti giudaico-cristiani e vede nell’assunzione della responsabilità di soddisfare i bisogni dell’altro, l’atto di nascita dell’individuo morale.

In Totalità e infinito scrive: “Filosofia del potere, l’ontologia, come filosofia prima che non mette in questione il medesimo, è una filosofia dell’ingiustizia. L’ontologia heideggeriana che subordina il rapporto con Altri alla relazione con l’essere in generale … resta all’interno dell’obbedienza dell’anonimato e porta, fatalmente, ad un’altra potenza, al dominio imperialista, alla tirannia. […] L’essere prima dell’ente. L’ontologia prima della metafisica - cioè la libertà (sia anche quella della teoria) prima della giustizia, è un movimento nel medesimo prima dell’obbligo nei confronti dell’altro”4.

Il pensiero occidentale segna il primato e la prevaricazione del medesimo nei confronti dell’altro, cioè l’annullamento di ogni differenza nell’universalità dell’essere.

Nel saggio L’evasione (1935) Lèvinas inizia la ricerca per “uscire dall’essere per una nuova via”. In armonia con la maggior parte dei filosofi contemporanei, sostiene che l’etica non può essere ridotta ad astratti esercizi accademici, a semplici regole e direttive, ma va calata nella comune realtà, prestando attenzione soprattutto alle azioni e alla responsabilità di ogni essere libero.

L’enigma dell’esistenza, il segreto della vita è racchiuso nell’esperienza del volto che abbiamo di fronte e che non riusciremo mai ad afferrare per intero riconducendolo a noi stessi. Se riusciamo ad assumere questo limite, a rinunciare a questo possesso per renderci disponibili a darsi, a svuotarsi, allora potremo ritrovare la nostra identità ed affermare il primato dell’etica.

Il pensiero filosofico di Lévinas si è sviluppato in un periodo storico in cui si sono affermate idee di superiorità e violenza, che hanno messo in discussione la possibilità stessa di condividere un medesimo orizzonte valoriale.

“Lo stato di guerra sospende la morale; spoglia le istituzioni e gli obblighi eterni dalla loro eternità e, da allora, annulla, nel provvisorio, gli incondizionati imperativi. Proietta in anticipo la sua ombra sugli atti degli uomini.” La guerra rende la morale “derisoria”5.

Il filosofo ha avvertito l’urgenza della questione morale, dell’incontro con l’Altro, del richiamo alla responsabilità di tutti davanti a tutti. Che ciascuno lo sia più di tutti gli altri e assegna all’altro tutti i diritti su di me, fino a poter contestare il mio “diritto d’essere”. La soggettività è esposizione e accoglienza passiva dell’altro, di quell’Altro che è già inscritto nelle pieghe più intime dell’Io. La vera essenza dell’Io è relazionale, non egocentrica; il rapporto che si instaura con l’altro non è di sopraffazione, di guerra, di annientamento.

Inizialmente l’altro fa parte di un insieme comprendente gli altri oggetti raffiguranti il mondo nella sua complessità, successivamente emerge con la sua apparizione come volto. La sua vera natura non è data dal colore degli occhi, dalla forma del naso, dal rossore delle labbra, ma dalla “domanda che mi rivolge, domanda che è al contempo una richiesta di aiuto e una minaccia […] Il volto non è semplicemente una forma plastica, ma è subito un impegno per me, un appello a me, un ordine per me di trovarmi al suo servizio. Non solamente di quel volto, ma dell’altra persona che in quel volto mi appare contemporaneamente in tutta la sua nudità, senza mezzi, senza nulla che la protegga, nella sua semplicità e, nello stesso tempo, come il luogo dove mi si ordina. Questa maniera di ordinare, è ciò che chiamo la parola di Dio nel volto. E questo comandamento è: non uccidere … che è tutto un programma, che vuol dire ‘tu mi farai vivere’”6.

Nel suo grido l’Altro chiede che si prenda atto dell’umanità nella sua irriducibile alterità, nella sua dignità in quanto essere umano, in quanto vedova, orfano e al contempo rappresentante dell’umanità intera e dello stesso concetto di umanità.

Gli altri si uccidono non solo con una pistola, ma anche con l’indifferenza, non occupandosene, abbandonandoli. È il volto dell’altro che, con la sua nudità, esposizione, fragilità, mi interpella, mi chiama ad una responsabilità assoluta, mi accusa, mi parla, pone l’io in questione, lo risveglia dal sonno dogmatico, lo disincanta, lo disubriaca del sapere provocando il risveglio etico, lo coinvolge nella responsabilità assoluta dell’altro, senza aspettare il contrario anche se dovesse costarmi la vita. “Il volto mi dice: ‘Tu non mi ucciderai’”7. “Di conseguenza, ‘non uccidere’ è la cosa principale, è l’ordine principale nel quale l’altro uomo è riconosciuto come ciò che si impone a me”8. “Devo rispondere di altri senza occuparmi della responsabilità d’altri al mio riguardo”9.

E’ una concezione della soggettività intesa come responsabilità per altri, “esposizione all’altro”, “ostaggio”, “sostituzione all’altro”, “soggezione ad altri”; non è caratterizzata dall’attività, ma dalla passività. L’io è de-posto, “desestituito” della sua sovranità di soggetto intenzionale. E’ “sotto l’accusa d’altri, anche se senza colpa”10; “[…] è aperto o esposto all’altro”. (Garritano)

La vera soggettività, quindi, che identifica il soggetto come unicità, non è data dall’attività che autonomamente si pone e pone il mondo, ma dalla passività di “soggetto” “originariamente colpito da un’ingiunzione etica che gli viene dall’Altro e che lo individua come soggetto responsabile prima ancora che egli possa prendervi posizione con un atto libero o con un atto di coscienza. Fin dall’inizio, malgrado sé, il soggetto è quindi stato scelto dal Bene come responsabile, ovvero come libertà da sé stesso per il Bene. E Lévinas ricorre anche al termine di ‘creatura’ e di ‘creazione ex nihilo’ per esprimere nella massima radicalità questa ‘passività’ costitutiva del soggetto umano”11.

L’altro è formato di carne e di sangue, è uomo che ha fame e che mangia, “viscere in una pelle e, così, suscettibile di dare il pane della propria bocca o di dare la propria pelle […] Solo un soggetto che mangia può essere per l’altro o significare. La significazione - l’uno-per-l’altro - ha senso solo tra esseri di carne e di sangue”12.

Partendo dall’essere corporeo e sensibile, è possibile “strappare il pane della propria bocca, nutrire la fame dell’altro del mio proprio digiuno”, cioè “essere-per-l’altro”, “insostituibile nella responsabilità […] etica che mi costituisce” (Ferretti) e che riguarda solo me e non altri. “Tutti gli uomini sono responsabili gli uni degli altri ed io più di tutti”. Scrive Dostoevskij ne I fratelli Karamazov: “Ciascuno di noi è colpevole davanti a tutti per tutti ed io più degli altri”. E aggiungiamo con Lévinas: “io sono responsabile d’altri anche quando commette crimini, anche quando altri uomini commettono crimini”13.

Lévinas trova nel Vangelo molte cose vicine al suo pensiero e in una intervista14 fa riferimento al Capitolo 25 di Matteo sul giudizio finale: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo. [35] Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, [36] nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi. [37] Allora i giusti gli risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? [38] Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato, o nudo e ti abbiamo vestito? [39] E quando ti abbiamo visto ammalato o in carcere e siamo venuti a visitarti? [40] Rispondendo, il re dirà loro: In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”.

Nel Capitolo 58 di Isaia si narra di persone che cercano Dio. Egli dice che, per trovarlo, si devono spezzare “le catene della malvagità”, si devono sciogliere “i legami del giogo”, si devono lasciare “liberi gli oppressi”, si deve infrangere “ogni sorta di giogo”, si devono vestire gli ignudi, nutrire gli affamati, far entrare in casa i senzatetto.

“Dio è il garante, il mediatore del modo giusto di porsi nei confronti del mondo: non assorbiti dal mondo, ma nemmeno non volti ad inghiottire per sé il mondo”

Note

1.          Il pensiero filosofico di Lévinas è particolarmente attuale nonostante la sua provocatoria radicalità. L’apertura all’altro è un messaggio di pace e di gratuità che solo l’amore-agape può generare. Il suo discorso mira a creare una società più umana attraverso l’abolizione dell’individualismo, della sopraffazione, dell’anonimato dando spazio alla persona umana nella sua unicità e irrepetibilità.

2.          Ponzio Augusto, Responsabilità e alterità in Emmanuel Lévinas, Jaca Book, 1995, pag. 16.

3.          Natale Maria Serena, Morin: ridare poesia all’esistenza, Corriere della Sera, Marzo 2011.

4.          Lévinas Emmanuel, Totalità e infinito. Saggio sull’esteriorità, Jaka Book, 1990.

5.          Op, cit., pag. IX.

6.          Lévinas Emmanuel, L’asimmetria del volto. Un’intervista, http://mondodomani.org/dialegesthai/el01.htm.

7.          Lévinas Emmanuel, Etica e Infinito, Città Aperta Edizioni, pag. 101.

8.          Emmanuel Levinas, L’asimmetria del volto. Un’intervista,http://mondodomani.org/dialegesthai/ el01.htm.

9.          Lévinas Emmanuel, Di Dio che viene all’idea, Jaka Book, Milano 1997, pag. 13.

10.   AA. Vari, L’idea di persona, a cura di Virgilio Merchiorre, Metafisica e storia della metafisica, 16, Vita e Pensiero, Milano 1996, pag. 488.

11.   Lévinas Emmanuel, Altrimenti che essere o al di là dell’essenza, Jaca Book, Marzo 2011, pp. 92-96.

12.   Lévinas Emmanuel, Di Dio che viene all’idea, Jaca Book, Milano 1997, pag. 91.

13.      Lévinas Emmanuel, Tra noi. Saggi sul pensare-all’altro, Jaca Book, 1998, pag. 142.

14.      Lévinas Emmanuel, op. cit.

15.      Anastase Liviu, Il regno dei volti. Il volto umano: naturae relazione, 2009, pag. 17.