La scrittura e l’attualità del messaggio di Platone

Secondo Socrate la verità non può essere acquisita dal mondo esterno, né può essere tramandata. È frutto di un processo di ricerca interiore dell’individuo applicando il metodo della maieutica che fa venire alla luce la “verità” presente nell’uomo.

Il filosofo attraverso il dialogo sollevava dubbi, incertezze e, facendo leva sulle contraddizioni, guidava l’allievo alla scoperta della verità. Il ragionamento, la critica delle opinioni, la definizione dei concetti, la formulazione dei giudizi sono fondamentali per far scaturire il sapere scientifico.

Socrate favoriva il dialogo per “superare gli aspetti negativi dei ruoli egemonici e subalterni nell’educazione, della conflittualità, per ribadire il principio dell’identità e della partecipazione; identità come rispetto della crescita e della maturazione della persona, partecipazione come momento di autentica correlazione, di aiuto reciproco, di vicendevole maieutica” (R. Fornaca, Storia della pedagogia, La Nuova Italia, Scandicci, 1991). La sapienza non può essere aumentata leggendo gli scritti degli altri.

Anche Platone presenta la scrittura come male e nel “Fedro” fa ricorso al mito di Theuth per affrontare il problema del discorso scritto.

“Theuth venne presso il re, gli rivelò le sue arti dicendo che esse dovevano esser diffuse presso tutti gli Egiziani.” La scienza dell’alfabeto li renderà “più sapienti e arricchirà la loro memoria perché questa scoperta è una medicina per la sapienza e la memoria”. Il re rispose a Theuth che chi aumenta le proprie conoscenze leggendo gli scritti degli altri, facilmente può pensare di aumentare anche la propria sapienza. Ma si tratta di una presunzione infondata e pericolosa: la scrittura ingenererà oblio nelle anime. La memoria non verrà esercitata perché, “fidandosi dello scritto”, saranno richiamate “le cose alla mente non più dall’interno di sé stessi, ma dal di fuori, attraverso segni estranei: ciò che tu hai trovato non è una ricetta per la memoria ma per richiamare alla mente. Né tu offri vera sapienza ai tuoi scolari, ma ne dai solo l’apparenza perché essi, grazie a te, potendo avere notizie di molte cose senza insegnamento, si crederanno d’essere dottissimi, mentre per la maggior parte non sapranno nulla; con loro sarà una sofferenza discorrere, imbottiti di opinioni invece che sapienti. Chi crede di poter tramandare un’arte affidandola all’alfabeto e chi a sua volta l’accoglie supponendo che dallo scritto si possa trarre qualcosa di preciso e di permanente, deve esser pieno d’una grande ingenuità, … la scrittura è in una strana condizione… crederesti che [le parole scritte] potessero parlare quasi che avessero in mente qualcosa; ma se tu, volendo imparare, chiedi loro qualcosa di ciò che dicono esse ti manifestano una cosa sola e sempre la stessa. L’anima dell’uomo paga di avere dei simboli scritti a cui affidarsi, smetterà di riflettere sul vero significato del mondo e si ridurrà a ripeterli meccanicamente.” (Platone, Fedro, 274 c-276)

Tuttavia, anche con la parola semplicemente orale, - per esempio una lezione o una conferenza ininterrotta ove non sono consentite le domande -, si è di fronte a qualcosa di analogo a un testo scritto. Platone non si limita a criticare la scrittura, ma critica, in generale, l’eccessiva fiducia nel linguaggio. “Il discorso che è scritto con la scienza nell’anima di chi impara: questo può difendere sé stesso, e sa a chi gli convenga parlare e a chi tacere.”  (Platone) Nel dialogo orale non solo c’è la presenza dell’autore delle affermazioni nel momento in cui le sostiene, ma c’è anche la possibilità di valutare l’opportunità di dire qualcosa, giudicando il contesto del discorso per approdare ad una verità chiara.

“Sapere molte cose non insegna l'intelligenza.” (Eraclito) Occorre sapersi orientare esercitando la propria intelligenza liberamente, e non memorizzando solo informazioni, date, nomi, formule o simili. Bisogna acquisire scienza delle cose e non solo scienza dei loro nomi se si vuole accedere ad una verità più profonda e durevole, anche se invisibile, posta nell’anima. L’interpretazione di un fenomeno o di un problema va ricercata con le proprie riflessioni e capacità intellettive.

Platone nella scrittura usa il dialogo che non fornisce informazioni, ma coinvolge il lettore nella discussione come se effettivamente partecipasse alla ricerca della verità. I dialoghi platonici, spesso, non conducono a una conclusione, ma forniscono l’esperienza di strumento di formazione alla ricerca filosofica. Egli non parla in prima persona, ma soprattutto per bocca di Socrate o di altri personaggi. La filosofia non si apprende leggendola dai libri. E’ una luce interiore che si accende come una scintilla nell’anima umana solo attraverso il confronto e la riflessione.

Riportando il pensiero di Platone alla realtà sociale di oggi, constatiamo che è degli ingenui pensare che la cultura sia quella del copia e incolla, quell’automatica trasposizione di nozioni senza alcuna consapevolezza. Ai giorni nostri è facile con un click trovare le più belle e profonde delle massime, copiarle e incollarle anche senza comprenderne il senso.

Come Platone mostrava i limiti della scrittura che sprofonda in “un maestoso silenzio” pur riconoscendo l’esigenza del suo tempo di ricorrere allo scritto, così noi non possiamo assumere un deleterio e anacronistico atteggiamento di chiusura verso la realtà informatica. Dobbiamo avvalerci di internet e dei social network considerandoli degli strumenti che adoperiamo per promuovere la nostra crescita culturale e le nostre capacità critiche.