La verità tra performatività e distopia

L’Organizzazione mondiale della sanità sin dall’insorgere dell’epidemia di Covid-19 ha avvertito del pericolo della propagazione a livello planetario di fake news legate alla nuova infezione. Contestualmente a ciò, si è imposto all’attenzione generale il neologismo ‘infodemia’ indicante la «circolazione di una quantità eccessiva di informazioni non vagliate con accuratezza, che rendono difficile orientarsi su un determinato argomento per la difficoltà di individuare fonti affidabili» (Treccani). Anche il governo italiano ha istituito una specifica task force al fine di identificare e arginare la circolazione di false notizie relative al Coronavirus, le quali tendono a moltiplicarsi in modo incontrollato nello spazio sconfinato e anarchico del web. Facebook (social network che registra notoriamente il numero più elevato di iscritti al mondo) ha attivato il ‘Centro informazioni sul coronavirus’, reindirizzando gli utenti alle pagine ufficiali delle organizzazioni sanitarie e invitando ad attingere da canali accreditati informazioni e direttive concernenti il Covid-19. Nella supplica litanica durante la straordinaria Benedizione eucaristica Urbi et Orbi e la preghiera per fermare l’epidemia, papa Francesco ha implorato: «dagli inganni, dalla cattiva informazione e dalla manipolazione delle coscienze salvaci, o Signore». Più recentemente, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha riferito in Parlamento in un clima di elevatissima tensione e conflittualità, ed ha menzionato la distinzione platonica tra δόξα (opinione) ed ἐπιστήμη (scienza). Che si stia manifestando l’esigenza atavica di recuperare quel contatto performativo e – alla luce degli accadimenti attuali – salvifico con la verità è difficilmente refutabile. Non occorre pensare necessariamente alla verità intesa in termini metafisico-teologici, bensì è possibile fare riferimento alla verità considerata come criterio di validazione degli enunciati, ossia come strumento di discrimine entro ciò che può essere accolto in quanto ‘vero’ e ciò che invece deve essere respinto in quanto ‘falso’. Quest’ultima accezione di verità predicativa (che attiene quindi alla sfera linguistica) merita qualche considerazione. La verità dell’espressione linguistica indica la conformità o la non conformità tra ciò che si dice e la realtà a cui si fa riferimento. Le verità e falsità di un enunciato si stabiliscono in virtù della corrispondenza tra la connessione degli elementi nominale e verbale costitutivi delle asserzioni e l’effettivo stato delle cose e dei fatti a cui si rimanda attraverso gli enunciati (Sofista, 262e 5-263b 9). Sebbene qui semplificata ed estrapolata in maniera funzionale da un complesso contesto di ontologia, logica e filosofia del linguaggio, la concezione platonica è utile al fine di inquadrare il problema in discussione. Se riflettiamo sull’attualità e, nell’ambito dell’informazione, sulla questione della divulgazione di notizie false, vediamo che la categoria di ‘falsità’ come mancata corrispondenza tra ciò che si dice e il fatto/lo stato di cose a cui ci si riferisce, rappresenta il nodo tematico centrale. Nell’orizzonte  della riscoperta esigenza di ristabilire il contatto con la verità, guadagnano una funzione decisiva alcune attitudini fondamentali: la capacità di discernimento, di decondizionamento e di criticizzazione del dato contro i tentativi di illegittima semplificazione, di imprudente banalizzazione o addirittura di falsificazione della fattualità. Si tratta di atteggiamenti critico-analitici che in senso lato fanno capo alla pratica della filosofia; tali atteggiamenti, in particolare in tempi di crisi durante i quali è richiesto un esercizio serio e continuo della capacità valutativa individuale e collettiva, sono gli strumenti essenziali con cui è possibile difendersi dalla falsità e riconoscere la verità. Esiste una chiara deontologia dell’informazione, interamente costruita sull’obbligo etico del dire la verità: «rispettare i fatti, proteggere le fonti, mantenere la propria integrità professionale. Dire la verità e smascherare le menzogne» (Gruber, Solferino 2019). Tralasciando il momento della produzione dell’informazione – che a livello professionale è teoricamente normato e intrinsecamente orientato a respingere le falsità – vi è il momento dell’acquisizione dell’informazione che vede coinvolti tutti e che necessita ugualmente di norme: quelle del buonsenso e dell’analisi critica di cui si è detto pocanzi. Tuttavia, possono subentrare dei fattori che, a vario titolo e in diversa misura, ostacolano l’accoglimento della verità e che dunque nella fase ricettiva dell’informazione rendono complicata l’identificazione della falsità. Nel Novum Organum il filosofo Bacone aveva parlato di idola, pregiudizi e false nozioni responsabili dell’ottundimento umano: essi «penetrano nell’intelletto umano fissandosi in profondità dentro di esso […] in modo da rendere difficile l’accesso alla verità». Tra gli idola individuati dal pensatore, gli idola specus (idoli della spelonca) di reminiscenza platonica possono ancora oggi allertarci contro il rischio di introiettare come contenuti veritieri distorsioni della realtà. Il problema è generato dalla propensione ad accogliere come vere le rappresentazioni, talvolta ombratili e inconsistenti, che abbiamo della realtà. «Ciascuno […] ha una specie di propria caverna o spelonca che rifrange e deforma la luce della natura». Una delle cause di tale processo deformante è la «diversità delle impressioni a seconda che siano accolte da un animo preoccupato e prevenuto o calmo ed equilibrato». Pertanto, vario, mutevole, soggetto al caso è definito dal filosofo lo spirito umano. Ugualmente dannosa è l’incidenza degli idola fori (idoli della piazza), pregiudizi e schemi precomprensivi derivati dallo scambio superficiale e disinformato (diremmo oggi) di credenze tra gli uomini: «gli uomini […] si associano per mezzo dei discorsi, ma i nomi vengono imposti secondo la comprensione del volgo e tale errata e inopportuna imposizione ingombra in molti modi l’intelletto». Soffermarsi su questi due tipi di idola è utile al fine di affrontare un ultimo argomento nodale legato al problema della verità nei termini in cui l’abbiamo considerata. Nel 2016 ‘post-verità’ è stata eletta espressione rappresentativa dell’anno ed è stata ritenuta capace di descrivere in maniera pertinente diverse dinamiche caratteristiche della contemporaneità. A proposito dell’aggettivo Post-Truth si legge che esso «si riferisce alle circostanze in cui le persone rispondono più alle sensazioni/sentimenti (feelings) e alle credenze (beliefs) che ai fatti» (Oxford Dictionaries). Dunque, il tempo della post-verità è quello in cui la deformazione emozionale dei contenuti (idola specus) e le inesattezze delle credenze (idola fori) fungono da criteri nell’atto del recepire informazioni. Ciò spiega anche perché hanno particolare presa su molti i titoli sensazionalistici e le tematiche miracolistiche e/o terrorizzanti caratteristiche delle fake news; queste ultime, infatti, trovano terreno fertile nel pericoloso e distopico contesto di ‘emancipazione’ dalla verità. I fatti sono secondari, cosicché la verità come strumento di discrimine e criterio di validazione delle asserzioni relative ai fatti può dirsi superata. Ma è davvero possibile affrancarsi dalla verità? Probabilmente la risposta è negativa e ciò sembra ancor più chiaro alla luce del dramma globale provocato dall’attuale emergenza sanitaria. La verità e la sua apprensione non possono essere esclusivamente un atto di compiacimento intellettuale. Al contrario, sono una necessità inalienabile. La conoscenza della verità ha un’influenza significativa sul pensiero e sulla condotta: può dissuadere l’individuo da ciò che è inopportuno o nocivo, può incentivare approcci di pensiero, atteggiamenti e pratiche sensate e responsabili, individualmente e collettivamente utili. Un epigramma di Diogene Laerzio  (III 45) riporta che Platone, ‘medico dell’anima’, era figlio di Apollo (dio che ha tra le proprie δυνάμεις la medicina) e fratello di Asclepio (dio medico). Il significato di tale ricostruzione mitologica della genealogia divina di Platone – simbolo atemporale della filosofia e della connessa ricerca della verità – è forse concentrato nell’idea secondo cui la conoscenza della verità può essere un autentico strumento terapeutico, ancora oggi efficace contro l’epidemia e l’infodemia, e in ultima istanza può rivelarsi salvifica, portatrice di salute al corpo e al pensiero.