Platone e l'età dell'oro

Prometeo rubò la scienza del fuoco di Efesto e la perizia tecnica di Atena e ne fece dono alla stirpe umana la quale fu in grado di procurarsi abbondanza di risorse per la vita. Credette negli dèi, “innalzò loro altari e statue, articolò con tecnica voci e parole, e inventò abitazioni, vesti, calzature, coperte e gli alimenti dalla terra”.

In origine gli uomini vivevano sparsi qua e là ed erano preda di animali selvatici, essendo in tutto più deboli di loro. “Cercarono allora di unirsi e di salvarsi costruendo città; ogni volta che stavano insieme, però, commettevano ingiustizie gli uni contro gli altri, non conoscendo ancora la politica; perciò, disperdendosi di nuovo, morivano”.

Zeus temendo che la nostra specie si estinguesse del tutto, inviò Ermes per portare agli uomini rispetto e giustizia, affinché fossero fondamenti dell’ordine delle città e vincoli d’amicizia. Ermes chiese a Zeus in quale modo dovesse distribuire “rispetto e giustizia” agli uomini: “Devo distribuirli come sono state distribuite le arti? Per queste, infatti, ci si è regolati così: se uno solo conosce la medicina, basta per molti che non la conoscono, e questo vale anche per gli altri artigiani. Mi devo regolare allo stesso modo per rispetto e giustizia, o posso distribuirli a tutti gli uomini?” “A tutti - rispose Zeus - e tutti ne siano partecipi; infatti non esisterebbero città, se pochi fossero partecipi di rispetto e giustizia, come succede per le arti. Istituisci inoltre a nome mio una legge in base alla quale si uccida, come peste della città, chi non sia partecipe di rispetto e giustizia.” (Protagora, 320 C - 324 A)

Platone nel Politico riprende la riflessione sull’età dell’oro creando una opposizione tra l’età di Crono, che guarda al passato riportando ogni cosa al fondo comune della terra, e l’età di Prometeo che guarda al futuro caratterizzato dall’azione che trasforma. In questo contesto la guida politica di un dio, che agisce attraverso la natura, risulta inadeguata a gestire poteri tecnici non necessariamente illuminati da sapienza divina. L’età dell’oro è vista sotto il segno di una radicale e incolmabile distanza, essendo intervenuto “un mutamento dinamico profondo che ha modificato la direzione del movimento cosmico, rovesciando il senso della storia umana.” (1)

Il modello del buon governo porta alla sostituzione della figura mitica del “re-pastore” sostituendolo con “sovrano-tessitore” il quale dovrebbe essere in grado di organizzare e convogliare al bene della comunità politica le diverse competenze distribuite tra i cittadini. “Il governo divino dell’età dell’oro mantiene il suo valore come modello di cura, ma nessun governo umano potrà pretendere di eguagliarne le capacità di provvidenza senza aprirsi alla collaborazione… dal governo di un dio nell’età felice che è il regno dell’innocenza e della natura-madre, al governo di uomini dotati di poteri tecnici, ma non per questo illuminati da sapienza divina.” (2)

Platone nel libro IV della Repubblica paragona i ruoli sociali alle parti di una statua. Gli occhi, pur essendo tra “le parti più belle del corpo”, non possono esigere “i colori più belli” perché si romperebbe l’armonia nell’insieme della statua. Allo stesso modo nessuna parte sociale potrà ricevere un trattamento migliore che la renda diversa dall’insieme di cui è parte. L’agire della città nel suo complesso deve portare ad una migliore educazione, per rendere migliori le anime degli individui.

Ognuno “deve svolgere il compito a cui secondo natura è portato” (Repubblica, 453b). Deve essere il migliore esecutore “del proprio lavoro” nel mondo della città ideale ed occupare il posto che gli spetta. In tal modo non si avrà soltanto uno scambio di cose, ma anche un reciproco riconoscimento della propria identità sociale. Per realizzare una città unita, e quindi giusta, è necessario che le parti di cui è composta siano divise per funzioni che interagiscano tra loro in armonia. Ognuno deve esplicare il proprio ruolo in collaborazione, senza mirare ad interessi contrastanti.

Nel contesto della società è presente una “piccola parte” di cittadini dotata della capacità di comprendere e di interpretare gli interessi di tutti. Essa potrà assumere il governo della città intera per la realizzazione del bene comune, dopo aver ricevuto un’adeguata educazione. Anche nel “Politico” Platone indica quali devono essere le caratteristiche del politico, ossia del governante della città. La scienza politica si fonda sull’arte della misura: il governante deve essere un “abile tessitore” in grado di intrecciare i diversi elementi di cui è composta la città nella “giusta misura”.

Altri cittadini possiedono quelle doti spontanee di coraggio o di forza d’animo e, se aiutati da una giusta educazione, possono formare il corpo combattente (soldati o guerrieri) in grado di proteggere la città dai nemici esterni ed eventualmente anche da quelli interni. Devono però innanzitutto dimostrare un comportamento fedele ai principi morali stabiliti dalla legge e sostenuti attraverso l’educazione che la comunità impartisce.

La terza parte, la più estesa della città che comprende i lavoratori (gli artigiani), ha la capacità e il compito di produrre beni necessari alla sopravvivenza della comunità nel suo insieme. La virtù principale è la temperanza la quale comporta la disciplinata sottomissione alla classe generale dei guardiani. E’ sempre possibile che un membro dei primi gruppi che non possiede le qualità intellettuali e morali necessarie, passi nel terzo. Invece un membro del terzo gruppo che ha le qualità giuste può essere elevato a responsabilità superiori.

La moderazione deve essere presente in tutti i gruppi sociali ed è indispensabile a porre un limite, a tenere sotto controllo i comportamenti in modo che essi non vadano oltre misura, verso eccessi che arrecherebbero danno alla comunità. E’ particolarmente necessaria a coloro che svolgono le attività produttive: attraverso di essa possono tenere sotto controllo i desideri e i piaceri, come per esempio l’accumulo di ricchezza o il desiderio di potere.

La presenza della sapienza, del coraggio, della moderazione o temperanza determina la presenza della giustizia nella città. L’armonia e l’accordo stabiliscono una condizione paragonabile a quella di un coro in cui tutti cantano insieme. L’accordo fa diminuire le differenze tra “i più deboli, i più forti e quelli di mezzo” (Politico, 432a). L’armonia consiste nell’avere lo stesso consenso su chi deve comandare e chi deve essere comandato. La temperanza che consiste nel moderare le pretese di ognuno, ha il compito di assicurare questa sinfonia assieme ad una concordia di tutti i cittadini. Se ciò non avviene, si rischia di invadere lo spazio degli altri a causa dell’avidità, oppure si rischia di essere manipolati da altri, in base alle loro svariate passioni. La città si trasforma in un luogo conflittuale, dominato dai cittadini peggiori, dagli assetati di potere.

Note

1. Fulvia de Luise, L’età dell’oro e il rovesciamento del mito del buon governo nel Politico di Platone.  Una lezione sull’uso dei modelli, https://www.academia.edu/.

2. Ibidem.

Testo consultato: G. Cambiano (a cura di), Dialoghi filosofici, vol. I, Torino, Utet, 1987.