Questa Vita
This Life: Secular Faith and Spiritual Freedom1 (Questa vita: Fede Secolare e Libertà Spirituale), è un saggio filosofico in lingua inglese scritto da Martin Hägglund2, docente di Letterature Comparate e Studi Umanistici presso la Yale University. Non è un libro indirizzato esclusivamente agli intellettuali (l’approccio è molto lontano dall’essere accademico) ma è anche un’indagine sul significato della vita e della morte, sugli ideali di cooperazione tra individui per costruire una società equa e un libro nel quale si afferma che la nostra vita conta. Un libro rivolto a “te”, lettore. Martin Hägglund, con una linea affascinante di ragionamento, porta alla luce ciò che da un lato le religioni, dall’altro il capitalismo hanno seppellito: la finitudine, il dolore, il lutto, l’ansia e l’attaccamento. Egli sollecita a riconoscere che siamo fragili. Ma la fragilità, in verità, per Hägglund diventa un punto di forza poiché dalle pagine di This Life fragilità e vulnerabilità emergono come aspetti umani di coesione e premessa per non diventare arroganti depositari di verità assolute. Nella cultura corrente, sembra d’obbligo sorridere, scacciare la morte e crogiolarsi in un delirio di onnipotenza instillato da deliri di fede e da deliri consumistici. E, invece, c’è bisogno di “anxiety”, ansia. Una parola che si incontra spesso nelle oltre quattrocento pagine di quest'opera straordinaria nella quale tra i nomi di Aristotele, Hegel, Dante, Proust, Knausgård, Mill, Keynes, Hayek, Agostino, Kierkegaard, Martin Luther King e altri ancora, si respira un afflato lirico che tocca vette altissime nella Parte II, Capitolo 4 “Natural and Spiritual Freedom” (Libertà naturale e spirituale), quando lo sguardo del filosofo segue un gabbiano librarsi in aria. Ebbene, se si considera che non c’è senso della perdita senza ansia e neanche senso della morte, si comprende perché tale stato psichico si svesta di connotazioni negative. Il filosofo afferma la necessità del dolore e del sentimento del lutto. In una vita non infinita com’è concepita dalle religioni, la morte è la cessazione di tutto. Riconoscere tale finitezza ci rende capaci di provare un dolore autentico e ci infonde la capacità di preoccuparci degli altri per i quali ci sentiamo responsabili sapendo che non li rivedremo in un’altra vita. Tuttavia Hagglünd cita esempi di filosofi e intellettuali credenti che nella fede non hanno trovato consolazione. Né rassegnazione. L’idea di vedere di nuovo in una dimensione trascendente la persona perduta soccombe rispetto al desiderio del prolungamento della vita dell’amato su questa terra, in questa vita.
“Il mio cuore si era rabbuiato per il dolore, e dovunque io guardassi c'era morte. Il mio stesso Paese era un tormento per me, la mia stessa casa possedeva una strana infelicità. Tutte quelle cose che noi avevamo fatto e detto insieme divennero, ora che lui se n'era andato, una pura tortura per me. I miei occhi lo cercavano ovunque e non riuscivano a trovarlo. E così per i luoghi dove eravamo soliti incontrarci, li odiavo tutti perché essi non contenevano la sua presenza; e non erano nemmeno capaci di dirmi in quel momento, "Guarda, lui verrà subito" come essi mi dicevano quando lui era in vita e lontano da me. Io ero divenuto un enigma a me stesso e usavo chiedere alla mia anima perché fosse triste e perché mi inquietasse così dolorosamente. E la mia anima non sapeva rispondere. Se io le avessi detto, "Abbi fede in Dio", essa molto giustamente non mi avrebbe obbedito, perché l'uomo che avevo perso, il mio più caro amico, era più reale e migliore del dio fantastico nel quale alla mia anima si era chiesto di credere”3.
Queste le parole di Sant’Agostino che non si rassegnava alla morte del suo migliore amico. E, per citare altri esempi, Lutero che non si capacitò della morte della figlia Maddalena; C. S. Lewis che si è sempre dichiarato cristiano ma che nel Diario di un dolore, piange la morte della moglie alla quale non si rassegnò mai. Lewis rifiuta l’idea di raggiungere la condizione in cui si smette di soffrire ritenendo che ciò gli farebbe apparire il passato con la moglie un
“affascinante episodio – come una vacanza – che avrebbe brevemente interrotto la mia interminabile vita… Così lei mi morirebbe una seconda volta”4.
Pertanto finanche chi si professa credente può provare quel desiderio che Hägglund in un'altra sua opera, dal titolo Dying for Time, chiama chronolibido5, che altro non è che il desiderio del tempo, non inteso come desiderio di eternità, ma di sopravvivenza e di estensione del tempo terreno.
Hägglund ci mostra poi i modi in cui il capitalismo a sua volta con altro genere di promesse crea un sistema congegnato in modo da espellere dalle nostre vite il dolore, l'attaccamento alla vita stessa, la responsabilità degli altri, la libertà individuale e spirituale.
Per essere veramente liberi e per riconoscerci vicendevolmente come tali è necessario provare l’ansia di vivere e avere fede negli altri. La fede secolare implica il dare la propria fiducia ai nostri simili. Il filosofo afferma che si devono accettare i rischi che questo atto di fede comporta. Solo così si dischiude l'autentico valore del nostro tempo finito e della nostra esistenza come secolare, ovvero temporale. La “fede secolare”, che Hägglund oppone alla fede religiosa, ci emancipa sia dalla coercizione della religione sia dalla coercizione delle istituzioni che non riconoscono l’individuo come libero di per sé e non perchè lo stabilisca una legge o un credo. In realtà non necessitiamo nemmeno di prove empiriche e mondane, dunque non religiose, poiché la nostra libertà individuale è intrinsecamente normativa dato che vive dentro noi e attraverso noi e non ci è data da entità esterne.
A pagina 4 scrive: “I am finite because I cannot maintain my life on my own and because I will die”. (Sono un essere finito perchè non posso sostenere la mia vita da solo e perché morirò). Il bisogno degli altri per Hagglünd è essenziale. Il che non significa confonderci in una massa informe ma affermare la nostra individualità ed identità che esistono esclusivamente quando esse siano riconosciute dai nostri simili. Tale riconoscimento è dato dall’educazione e dall’istruzione e non da norme astratte perchè la nostra stessa individualità ed identità hanno carattere normativo, come si diceva sopra. L’individuo si distingue dagli altri esseri viventi in quanto capace di porsi domande. Domandarsi cosa fare del proprio tempo e, punto interessante della speculazione filosofica di Hägglund, cosa fare del proprio tempo libero. Quest’ultimo nella società capitalista diventa illusorio dato che è stabilito dal tempo lavorativo. Dunque non siamo padroni del nostro tempo, anche perché il lavoro salariato scandisce dei ritmi che ostacolano la felicità (auspicata anche da Karl Marx) personale e il godimento del tempo libero. Il filosofo afferma che l’individuo sarebbe pienamente realizzato in una democrazia socialista, nella quale è l’individuo stesso a gestire il proprio tempo e a produrre ciò che gli è necessario, attraverso il senso di responsabilità dell’altro e non attraverso i meccanismi della vendita/acquisto, domanda/offerta che sono fine a se stessi. Essere responsabili pertanto investe, nella prospettiva filosofica, politica e sociale di Hägglund, tanto la dimensione individuale privata che pubblica. Anche l’amore per il filosofo della Yale è impegno e responsabilità.
“Love is not something that can take place in an instant. Rather, love expresses a commitment to caring for another person across time”6. (L’amore non è qualcosa che può accadere in un istante. Piuttosto, l’amore esprime un impegno a prendersi cura di un'altra persona attraverso il tempo).
Riconoscimento reciproco, finitudine, fragilità, vulnerabilità, tempo libero, fede secolare e libertà spirituale sono le chiavi per raggiungere l’obiettivo di una nuova società. Martin Hägglund con questo libro è un faro di luce nel restituire il vero significato dell’essere umano e della libertà spirituale.
Note
1 Martin Hägglund, This Life - Secular Faith and Spiritual Freedom, ed. Pantheon Books, New York, 2019.
2 Martin Hägglund è anche membro della Society of Fellows presso l’Università di Harvard, autore di tre libri di grande successo, tradotti in otto lingue. Nella sua lingua natale, lo Svedese ha scritto Chronophobia all’età di soli venticinque anni. Il suo primo libro in Inglese, Radical Atheism, è stato il soggetto di ben due importanti conferenze rispettivamente presso la Cornell University e la Oxford University. Nel 2018 è stato premiato con il Guggenheim Fellowship.
3 Agostino, Confessiones, Libro 4, in This Life, pag. 84, Part I, Secular Faith, Chapter 2 - Love. “My heart was darkened over with sorrow, and whatever I looked at was death. My own country was a torment to me, my own home was a strange unhappiness. All those things that we had done and said together became, now that he was gone, sheer torture to me. My eyes looked for him everywhere and could not find him. And as to the places where we used to meet, I hated all of them for not containing him; nor were they able to say to me now, "Look, he will soon come", as they used to say when he was alive and away from me. I had become a great riddle to myself and I used to ask my soul why it was sad and why it disquieted me so sorely. And my soul did not know what to answer. If I said, "Trust in God", it very rightly did not obey me, because the man whom I had lost, my dearest friend, was more real and better than the fantastic god in whom my soul was asked to trust”. Trad. C. Albano).
4 This Life, Part I, Chapter 1- Faith, pag. 64. “...a charming episode - like a holiday - that had briefly interrupted my interminable life...Thus she would die to me a second time”. Trad. C. Albano.
5 Märtin Hagglund, Dying for Time - Proust, Woolf, Nabokov, Harvard University Press; Cambridge, Massachusetts; London, England, 2012. “the notion of chronolibido seeks to elucidate that it is because of temporal finitude that one cares about life in the first place”. (“Il concetto di cronolibidine cerca di chiarire che è a causa della finitezza temporale che ci si preoccupa della vita in primo luogo”. Trad. C. Albano).
6 This Life, Part I, Secular Faith, p.40.