Tre poesie inedite di Michele Lacava

Mentre il cielo cadeva in frantumi

nel tuo petto ho trovato un soffitto.

Adesso, ho di nuovo una casa

per lasciare l’odio fuori la porta

ballare fino all’ultima nota

maldestro e sbilenco

(come il mio solito)

passando da una camera all’altra

come si passa la rosa in un tango.

Ma vorrei che le tende

restassero aperte

per guardare là fuori e poter misurare

la vita che ho dentro,

indicare la fine che tanto è lontana

se basta a coprirla la punta di un dito.

*

Ho tenuto al caldo il tuo nome

tra un’estate e l’altra

ma dovrò aspettare altre stagioni

nella speranza che maturi.

L’ho scoperto di nascosto

quand’era ancora acerbo

l’ho carpito, l’ho rubato

come una mela dal tuo cesto.

Ma certi frutti nascono

per non essere mangiati.

Li si annusa, ci si inebria,

ci si impregna la memoria

di un profumo toccasana

per l’inverno e i suoi malanni.

*

Camminare a testa bassa

con il fiuto dei segugi,

guardarsi circospetti solo per scoprire

se qualcosa cade senza fare tonfi.

Poi, cucire ad uno ad uno

i nomi ritrovati sull’asfalto

che non fanno traccia

senza il peso di una voce,

riportarli al proprio corpo

restituendogli le gambe

per affidargli un’altra meta provvisoria.

È questo il nostro patto

implicito col mondo:

rimettere ad ogni costo

ogni cosa al proprio posto

ma solo per contare

quanti hanno sopportato il crollo.