La ricerca dell'infelicità

La spinta creativa, nel duplice senso di creazione e di fervida produzione intellettuale e non, appare innata nell'uomo. O comunque fortemente stimolata da un processo di maturità in cui, dalla lingua, ai numeri, ai rapporti sociali, vengono abbinate unità minime per la costruzione e produzione di senso.

Sta probabilmente nelle logiche meccaniciste del mercato l'infelicità diffusa, dal momento che esso mette a tacere tali istinti creativi in favore di quella che Galimberti chiama l'età della tecnica. Sorge però il dubbio, mentre scrivo queste poche righe, che parlare di mercato è in realtà una trappola logica, poiché si individua una causa non causa.

Pur essendo vero che un sistema che predilige, e costringe, la redistribuzione delle ricchezze spingerà maggiormente verso la ricerca del benessere collettivo, con la conseguenza, auspicabile, che non dovendo morire in fabbrica per soddisfare i bisogni primari l'uomo potrà dedicarsi a quella spinta creativa di cui sopra, va comunque detto che anche il sistema capitalistico in cui viviamo ha margini di spinta creativa. Si pensi, ad esempio, ai momenti di espansione del capitalismo in cui il progresso tecnologico ha avuto luogo grazie alle molte imprese, fra loro in concorrenza, che cercavano di creare un prodotto innovativo per un mercato ansioso di recepirlo. Dal tostapane al giradischi. La questione rimane aperta se introduciamo il concetto di falsi bisogni e se ci chiediamo quali fasce della popolazione abbiano "diritto alla creatività" in un sistema di tipo capitalistico.

Ad ogni modo, senza addentrarci in questi distinguo, verrebbe da dire che non è il sistema in sé ad essere di nocumento allo sviluppo della persona e alla sua ricerca della felicità, ma lo sono le regole che tale sistema normano, spesso ponendo vincoli e, come dire, deviazioni dai dettami di partenza, al fine di favorire i regolatori del sistema o una cerchia a loro afferente.

In buona sintesi potremmo concludere dicendo che, per il mantenimento dei privilegi della classe dominante, registriamo una pletora di "cose" e avvenimenti il cui unico scopo è quello di "cambiare tutto affinché nulla cambi". Il cittadino comune percepisce questo stato di cose, benché forse non individui nel mantenimento dello status quo quello che è per lui il più stringente dei capestri, e reagisce tentando di avvicinarsi alla classe dominante, di entrare nelle sue grazie, di ottenere quei piccoli grandi favori che gli permettono di portare a compimento i suoi progetti, in toto o in parte, o, il più delle volte, di rimanere con "la speranza"/"la promessa" di poterli portare a termine.

Perseguendo così il mito di poter avere accesso al "giro di quelli che contano", l'uomo della strada sacrifica affetti e benessere personale, contravviene ai principi guida tramandati dai suoi avi e abbraccia le norme sociali non scritte che l'uso rende valide e... "giuste". Abdica il dominio sulla sua persona al più forte e come vaso di coccio, fra vasi di ferro, tenta di proseguire la sua vita senza essere notato da chi potrebbe schiacciarlo. Assolve la sua scelta in virtù della immutabilità degli eventi e di relazioni sociali, il più delle volte, una famiglia, che egli tenta così, con il suo comportamento, di salvaguardare. Ovviamente tale scelta è funzionale invece alla riproduzione di nuovi individui che possano garantire, con il loro lavoro, la ricchezza dei membri dei piani più alti della piramide.

Non si colga però questa come una reprimenda da pulpito, bensì, come una disamina necessaria per cominciare a ragionare sulla possibilità di un cambiamento. Se infatti, come dice Silvano Agosti, lo schiavo moderno finisce per essere lo stesso che mette i fiori alla finestra della sua prigione, si cade allora in quella situazione in cui lo schiavo giustifica il padrone. Uno scenario alla "sindrome di Stoccolma" in cui lo schiavo è davvero tale perché ha perso la sua integrità il suo ghost, in shell, citando una certa fantascienza dal sapore giapponese, o il suo dáimon, rifacendosi alla cultura greca antica.

Il cambiamento, tutti i cambiamenti, impongono scelte coraggiose, a volte sacrifici personali, ma, soprattutto, prese di posizione contrarie al proprio modo di essere. Ed è per questo che sono tanto difficili. Scelte contrarie alla corrente, scelte originali che, e questa è la parte migliore che nessuno riesce più a immaginare, innescano un effetto domino la cui contagiosità può trasformare il nero in bianco in un sol colpo!

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Sergio Procacci

Laureato in Scienze della comunicazione e Lingue e letterature moderne, ha raccontato realtà piccole e grandi attraverso i media contemporanei ed insegnato lingue in contesti accademici e non.
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