Masochismo e strategie di fuga
È l’estasi questa paradossale identità demenziale che svuota l’orante del suo soggetto e in cambio lo illude nella oggettivazione di sé, dentro un altro oggetto. Tutto quanto è diverso, è Dio. Se vuoi stringere sei tu l’amplesso, quando baci la bocca sei tu. Divina è l’illusione. Questo è un santo. Così è di tutti i santi, fondamentalmente impreparati, anzi negati (da Nostra Signora dei Turchi).
La scena d’apertura di “Nostra Signora dei Turchi” presenta una serie di ritratti di quello che si potrebbe definire un martirio ricercato e voluto: un corpo cade, precipita, viene legato\si lega, ustionato\si ustiona, viene preso a colpi di pistola, ma da se stesso, viene attraversato da una serie di pratiche persecutorie e vessatorie, ma da chi? Il protagonista assume diversi ruoli, diverse maschere. Si tratta di un santo? Di un cretino? Di un bandito? Di uno straniero? Di una vittima o di un carnefice? Poco importa. Non sono queste le domande giuste. Ciò che conta è quello che viene mostrato: una sorta di strano percorso educativo, un contorsionismo del corpo, un percorso di fuga da qualcosa. Un supplizio capace di sciogliere la postura rigida del soggetto da un particolare modello, ma anche una certa capacità di captare, tramite la vista, elementi sfuggenti, mistici, un certo qual modo di abrogare la coscienza:
Così è di tutti i santi, fondamentalmente impreparati, anzi negati. Gli altari muovono verso di loro, macchinati dall’ebetismo della loro psicosi o da forze telluriche equilibranti – ma questo è escluso. È così che un santo perde se stesso, tramite l’idiozia incontrollata. Un altare comincia dove finisce la misura. Essere santi è perdere il controllo, rinunciare al peso, e il peso è organizzare la propria dimensione.
Quando Deleuze prende in mano il tema del masochismo mette subito in moto un’analisi che dissocia la presunta unità e specularità sadomasochistica. Ci dice che esiste nel cuore del masochista un fantasma del sadico che non ha nulla a che fare con il Sadico, così come esiste nel cuore del sadico un fantasma del masochista che non ha nulla a che fare con il Masochista. Avvia così un’indagine sulla sintomatologia capace di far emergere un nuovo ritratto dello schiavo: si tratta di un individuo con una particolare propensione verso alcune forme dell’arte, verso la lettura hegeliana, sicuramente propenso al martirio, ma anche intrigato dal regno dell’immagine e diretto verso una sorta di inattualità che si riferisce a cosa? A quale temporalità? Quale temposi sta interpellando? Qualcosa viene evocato, ma a cosa ci si richiama?
Deleuze offre un altro indizio a proposito: ci dice che nella scrittura di Masoch c’è la volontà di riscrivere una sorta di storia dell’umanità, dove all’inizio si colloca un tempo eterico e primitivo, un mondo informale, abitato dalla contraddizione, da impasti pulsionali ed identitari, un mondo che poi subisce una catastrofe e viene annientato. Un cataclisma lo trascina in uno spazio gelido, razionale ed asimmetrico, uno spazio discreto dove i corpi docili sono addomesticati da posture codificate, regimi sintattici carichi di gerarchie valoriali repressive, con individui drogati da carriere folgoranti. In tal senso nell’enunciato: “Devi crescere, diventare responsabile e costruirti un futuro”, sedimentano tutta una serie di pratiche che, dalla costruzione di uno spazio addomesticato individuale fino alla famiglia, impongono al corpo una determinata postura sintattica, un atteggiamento serio e maturo, genitoriale, capace di garantire uno statuto veritativo. Così di fronte ad un tale regime di verità il soggetto si auto-costituisce come soggetto prestazionale, drogato di Fitness, affamato di responsabilità ed impegni, volenteroso di perfezionarsi e di rispondere alla chiamata del risentimento e nel quale l’universo di Masoch non viene minimamente contemplato, perché non sarebbe altro che un guasto, una sventura, un elemento esplosivo e perturbante.
È proprio grazie al noto studio di Theodor Reik[1]che Deleuze vede la possibilità di aprire, nella struttura del masochismo, una crepa capace di alterare la troppolineare e superficiale lettura del masochista inteso come una “personalità debole”, ingenua, incapace di agire, predisposto a sottomettersi a qualsiasi cosa. Deleuze ci dice che è importante cogliere alcune strategie. Nello specifico dice proprio che lo schiavo non fa che mettere in atto delle tattiche, delle macchinazioni al fine di entrare in relazione con una dimensione temporale contorta, arcaica o semplicemente inattuale, con un regime del corpo deformato da particolari tecniche costrittive, con un linguaggio che regredisce al verso animale, al mero suono asignificante. Deleuze insiste dicendo che solo una cattiva lettura del fenomeno mostra il masochista volenteroso di sottomettersi ad una legge qualsiasi, ad un’autorità, in quanto ciò che accade in realtà è la volontà di deridere la Legge universale – l’eroe di Masoch non fa che sabotare le leggi, portandole ad un punto di collasso. Altre volte ne cambia lo statuto strutturale di riferimento, ne stravolge le semiotiche, strategizza nuovi rapporti di forza. In pratica ciò che il masochista cerca, attraverso la sua sottomissione, è l’instaurazione di nuove relazioni, meglio se disumane, subumane, oltreumane, fughe incredibili ed impossibili. La stessa punizione che lo schiavo invoca dalla sua Dea non è altro che una contro-effettuazione di quella stessa pena che di solito è eseguita da un’impersonale e stupida struttura burocratica, da un regime di visibilità che gli appare scontato e banale. Ed è proprio in tal senso che l’arte o la rievocazione di uno spazio informale diventano modi per incontrare delle forze invisibili, o per incontrare dei regimi di visibilità dimenticati e sepolti, trampolini per fuggire verso una disorganizzazione del corpo, per offendere ed umiliare quel regime del fisico funzionante che gli ripugna.
Le continue richieste di corde, di manette, di guinzagli, le polsiere, le costrizioni posturali, i corsetti, le deprivazioni sensoriali, così come l’oggettivazione, il diventare un semplice mobile umano, un mero supporto di marmo, non sono altro che macchinazioni del corpo per spostarlo verso nuove alleanze: relazioni organiche, inorganiche, pulviscolari. Riscoprire, nell’elasticità della muscolatura delle potenze aberranti e lontane dall’organologia rigida e strutturale di una superficie relativa – riscoprire regni inceneriti, luoghi di vecchi esorcismi dove il supplizio diventa la sofferenza di una trasmutazione e dove la castrazione o la negazione dell’orgasmo agiscono come modi per rompere con una filiazione verticale, arborescente, al fine di aprire nuovi incontri orizzontali, vampirici, pratiche rituali proibite, stregonerie oscure, incantesimi che mescolano gli ingredienti più contraddittori al fine di scoprire nuove dimensioni desideranti.
Nell’enunciato della carnefice: “Farò di te una bestia, sarai solo una cosa, non avrai più una coscienza, una famiglia, vivrai nel fango!”, si invoca il richiamo di un’antica condizione magmatica ed immorale, simmetrica e primordiale, un caos pulsionale capace di corrodere il soggetto-fitness, o l’uomo-balestrato[2]. Qui si sente il grido: “Basta con il soggetto funzionale!”, qui si inaugura un divenire-animale che rifiuta l’organologia edipica della società del benessere: “Preferisco vivere come un verme che diventare un CEO aziendale, preferisco ululare che parlare la vostra lingua! Preferisco simulare di essere una pietra che continuare con questa storia della coscienza!”. Ed è chiaro che ci si trova sempre su una sorta di crinale dove si può cadere in un abissale baratro bestiale, oppure si possono fare nuovi incontri, si possono avvicinare nuove forze, nuove alleanze. Si pensi all’incontro della carne con la corda, all’incontro della muscolatura con il metallo, con il fuoco, oppure all’incontro della carnefice con un tacco infinito, dove il corpo diventa un gotico rovesciato che trascende il passo agevole e si infila nel cuore della terra. Un ago che solleva e riduce l’adiacenza con il piano di supporto nello stesso momento in cui ridistribuisce il peso su un punto di contatto sempre minore: la carne del mondo, o dello schiavo, fotografia di un corpo crivellato dai tacchi.
La maschera, il latex e la pelliccia della Dea non sono solo un secondo viso, una seconda pelle, ma attualizzano una nuova estetica, un nuovo tatto della terra, una nuova segmentazione. Sono differenti modi di sentire l’ambiente dove il calore feroce della fiamma stride nei confronti di un mondo rifunzionalizzato dal lucido calcolo statistico e dal risentimento, dal giudizio farisaico del moralista, del bacchettone di turno, in un ambiente troppo freddo, troppo rigido, abitato dal gelo. Un mondo troppo romano, cristiano: «Nel quale Venere non ha più posto. Venere che nel Nord astratto, in questo gelido mondo cristiano si deve rannicchiare dentro una grossa pelliccia pesante, per non prendere freddo. Restatevene pure fra le vostre nebbie nordiche e le nubi cristiane del vostro incenso, ma lasciateci in pace, noi pagani, sotto le ceneri e la lava, non dissotterrateci […] Voi non avete bisogno di dèi! E noi moriamo di freddo nel vostro mondo» (da Deleuze, Lettere e altri testi).
Note
[1] Theodor Reik, Il masochismo nell’uomo moderno.
[2] Per soggetto-balestrato si intende un soggetto che concepisce il mondo come un bersaglio da centrare, che concepisce il mondo ed il suo rapporto con gli altri come un obiettivo e non smette mai di ragionare per traguardi, anche se parziali.