Ripensare la condizione umana
Agli albori del pensiero occidentale, intorno alla metà del VI secolo a. C., Eraclito di Efeso aveva diviso la categoria umana in “svegli” e “dormienti”. Questi ultimi - che comprendono anche dei sapienti -, basandosi solo sulle sensazioni soggettive, non esercitano bene l’intelletto e non riescono a cogliere in profondità ciò che è l’essenza delle cose.
Gli svegli, invece, usano l’intelletto, vanno a fondo della natura delle cose e pervengono ad una visione completa e superiore che va al di là delle percezioni sensibili, ossia dei sensi. Alla conoscenza si accede attraverso la ragione e si scopre che, nella continua tensione degli opposti, regna l’armonia invisibile, immanente al tutto.
Il Logos, dice Eraclito, governa le cose ed il principio razionale è comune a tutti gli uomini. “I dormienti”, però, non riconoscono la voce della ragione e rinunciano al logos cosmico, il solo che ci può far comprendere la realtà nell’insieme, nella sua unità. La verità non è accessibile a chi conosce molte cose, ma a chi sa fare buon uso dell’intelletto, del logos. “Nessuna cosa avviene per caso ma tutto secondo logos e necessità… Sapere molte cose non insegna ad avere intelligenza” (Eraclito, fr. 2; 40).
La ricerca filosofica, intesa come missione perpetua di vita, ci invita ad indagare sull’insieme della realtà immanente delle cose. “Recuperando questa sua vocazione originaria, può soccorrerci oggi mentre ci sorprende in uno di quei particolari momenti della storia in cui l’uomo, di fronte a una svolta epocale, annega nella sua insufficienza cognitiva, come dentro alle sabbie mobili in cui si è dissolta qualunque residua eco di senso” (1).
Secondo Edgar Morin, “il XX secolo ha vissuto sotto il regno di una razionalità che ha preteso di essere la sola razionalità, ma che ha atrofizzato la comprensione, la riflessione e la visione a lungo termine. La sua insufficienza nell’affrontare i problemi più gravi ha costituito uno dei problemi più seri per l’umanità” (2).
In questo terzo millennio l’uomo presenta una singolare cecità intellettuale proveniente dalla cultura scientifica moderna del XX secolo, la quale lo porta a disinteressarsi dei problemi complessi e globali.
La scienza galileiano-newtoniana, nel periodo che va dal 1600 alla metà del 1800, ha orientato la conoscenza scientifica verso la ricerca di verità stabili e definitive ricorrendo a formule matematiche e rinunciando alla visione dell’insieme. “Il progresso scientifico era inteso come un processo lineare di consolidamento progressivo e cumulativo di conoscenze relative ad una realtà vista come esterna e oggettiva” (3).
Tuttavia non è da escludere che ogni teoria, indipendentemente dalla affidabilità che sembra possedere, possa andare incontro al rischio della confutazione. Lo stesso Einstein era consapevole che anche la Fisica relativistica potrebbe essere a sua volta confutata.
Un lieve cambiamento di prospettiva ha inizio nei primi anni del ‘900 e l’attenzione viene focalizzata sempre più sulla necessità di costruzioni ipotetiche suscettibili di disconferma.
Si incomincia a prendere in considerazione l’esistenza di un processo dialettico all’interno delle diverse discipline e non si va più alla ricerca di soluzioni definitive dei problemi incontrati, ma si assume un atteggiamento falsificazionista.
La filosofia della scienza del XX secolo è stata fortemente influenzata da Karl Popper il quale propone una via di uscita dai problemi posti dall’induttivismo (4).
Nega che la logica della scienza sia induttiva; sostiene la natura fallibile di tutte le teorie scientifiche; una teoria che non può essere confutata non è scientifica; avvalora l’incertezza e la provvisorietà della conoscenza la quale aumenta quando si sconvolgono le precedenti credenze e ci si approssima progressivamente alla verità (mai completa).
La scienza procede per congetture e confutazioni, non giunge ad una verità completa, ma solo ad un sapere temporaneo, in continua evoluzione e le teorie scientifiche non possono essere mai considerate definitive. Dice Popper nel saggio “La natura dei problemi filosofici”: “Noi non siamo studiosi di certe materie, bensì di problemi. E i problemi possono passare attraverso i confini di qualsiasi materia o disciplina”.
“L’inconfutabilità di una teoria non è (come spesso si crede) un pregio, bensì un difetto. Ogni controllo genuino di una teoria è un tentativo di falsificarla, o di confutarla. La controllabilità coincide con la falsificabilità; alcune teorie sono controllabili, o esposte alla confutazione, più di altre; esse per così dire, corrono rischi maggiori” (5).
Il ricercatore secondo Popper deve garantire il controllo rigoroso di una teoria scientifica, motivato da un dubbio critico, e deve realizzare un confronto interdisciplinare dei risultati ottenuti.
Il contenuto della scienza non è da ritenersi definitivo una volta per tutte, ma va considerato il migliore che abbiamo a disposizione fino a quando sarà trovato qualche dato della realtà in grado di metterlo in discussione. “Tutta la conoscenza rimane fallibile, congetturale. Non esiste nessuna giustificazione, compresa, beninteso, nessuna giustificazione definitiva di una confutazione. Tuttavia, noi impariamo attraverso confutazioni, cioè attraverso l’eliminazione di errori ... La scienza è fallibile perché la scienza è umana” (Karl R. Popper). Essa si pone l’obbiettivo dell’estensione della sfera non più del conosciuto, bensì del conoscibile.
“Come è facile intuire, quello che a prima vista appare un semplice mutamento metodologico si rivelerà in realtà una vera e propria rivoluzione delle concezioni relative al mondo che è intorno a noi e assieme dell’essere umano e dei suoi processi conoscitivi con i quali egli si sforza di cogliere questo mondo. Siamo quindi di fronte ad un riorientamento epistemologico che modifica completamente le delimitazioni degli oggetti di studio, dell’ambiente, dell’osservatore e delle interazioni tra questo e i primi” (6).
In questo momento storico è innanzitutto importante comprendere la nostra posizione, la nostra nuova condizione in una società complessa, perché dobbiamo imparare a risituarci all’interno dei nuovi confini esistenziali e conquistare più idonee categorie cognitive.
Note
1. Maria Laura Giacobello, Il coraggio della filosofia, https://www.brainfactor.it/ coraggio-della-filosofia/.
2. E. Morin, I sette saperi necessari all’educazione del futuro, Raffaello Cortina Editore, Milano 2001, p. 46
3. Omar Gelo, L’approccio sistemico alla complessità autorganizzata: Teoria dei sistemi, modelli della mente e sviluppo, Dispense di studio per Psicologia Dinamica, www.unisalento.it. “La filosofia è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi a gli occhi (io dico l’universo), ma non si può intendere se prima non s’impara a intender la lingua, e conoscer i caratteri, ne’ quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi, ed altre figure geometriche, senza i quali mezzi è impossibile a intenderne umanamente parola; senza questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro laberinto”. Galileo Galilei, Il Saggiatore, Cap. VI.
4. L’induttivismo è una corrente di pensiero della filosofia della scienza che identifica il metodo scientifico con le procedure induttive. Il metodo induttivo è un “procedimento logico, opposto a quello della deduzione, per cui dall’osservazione di casi particolari si sale ad affermazioni universali”. Enciclopedia Treccani, https://www.treccani.it/enciclopedia/tag/metodo-induttivo.
5. K. Popper, in AA.VV., Filosofia e pedagogia dalle origini a oggi, vol. 3, p. 615, La Scuola, Brescia 1986.
6. Omar Gelo, L’approccio sistemico alla complessità autorganizzata: Teoria dei sistemi, modelli della mente e sviluppo, Dispense di studio per Psicologia Dinamica, www.unisalento.it