Storia vera di un contadino. Un apostata tra i porci

Libera interpretazione dopo la lettura di alcuni appunti di un mio parente risalenti al 1977

Giocavi con i porci come altri si divertivano con i gatti. Scodinzolavi tra le pecore e le galline sognavano l’emancipazione, ma tu tiravi loro il collo come se avessi dovuto strizzare uno straccio. Contadino eri nato e contadino volevi morire. Alla terra riconoscevi ogni potere e diritto; più era nuda e brulla, più ti piaceva. Sapeva di donna.

A volte, ti toglievi la maglia e restavi a torso nudo, poi ti sdraiavi e lei ti dava calore o refrigerio a seconda delle stagioni. Pensavi a quando saresti tornato tra le sue braccia, ché prima o poi sarebbe toccata anche a te la sepoltura. Non ti dispiaceva, non ti preoccupava; d’altronde, da morto non ti saresti accorto di quando i vermi si sarebbero infilati tra la carne e le ossa. Nulla del tuo spirito e della tua coscienza sarebbe rimasto nel corpo; avresti visto tutto dal cielo, mentre zappavi distese di nuvole incolte da cui sarebbero spuntate piante di fagioli.

Non ti ha mai fatto paura il sangue degli animali, non ti impressionavano i versi che emettevano quando il coltello oltrepassava le loro gole. Era un colpo che avevi imparato da piccolo, da tuo padre, il tocco secco che si imprimeva sulla noce del collo del coniglio. Sarebbe morto senza saperlo… e poi, hanno un’anima le bestie? Sovente, mentre pulivi il porcile dopo aver messo al riparo te stesso dalla fame insaziabile dei maiali, ricordavi che il prete ti aveva spiegato che la natura è al servizio dell’uomo. “Non esiste peccato per chi compie atti violenti verso gli animali a cui Adamo ha dato il nome. Sono stati battezzati per essere sudditi degli uomini”.

Eppure, avevi pietà di loro. Fissavi con misericordia gli occhi dei polli e degli agnelli, perché sapevi che fine avrebbero fatto e, dopotutto, ti dispiaceva. “Ma così va il mondo, così è stato creato. Un contadino non si chiede il perché, ma si consegna alla terra, alla natura, si fa loro vassallo, anche giudice e boia. Il contadino è suddito di Dio e contro la volontà sua nulla può. C’è un ciclo che mai si interrompe e che nessuno può modificare e, per quanto cambino il tempo e la meteorologia, la natura continuerà a far nascere e a far morire le sue creature”.

Sputavi sulle zolle quando finivi di zappare per riconsegnare alla terra anche la polvere che avevi ingoiato. Pisciavi vicino a un albero per ringraziare il cielo dell’acqua che avevi preso in prestito. Cacavi dietro il canneto per ridare al cosmo persino gli ultimi resti del cibo che ti eri guadagnato e che la natura ti aveva benedetto. Rendevi “grazie” a Dio ogni qualvolta raccoglievi frutti e ortaggi, o dopo aver ucciso un animale, perché “se è vero che piante e bestie non hanno anima, è altrettanto vero che qualcosa dà a loro la forza per vivere, e quel qualcosa torna al Signore”.

Così eri fin quando non venne da te un costruttore che voleva il tuo terreno e, nonostante le promesse fatte a te stesso e ai tuoi avi, ti sei fatto prendere in giro da un assegno. Cedesti tutto, persino le zappe, ché quei campi si trovavano in un punto buono, panoramico, al di sopra di ogni peccato umano e di ogni grido. Da lì vedevi come si univano cielo e mare, come il sole si spegneva in acqua, come il fiume abbracciava i monti e come strisciava a valle sembrando una serpe luccicante.

Costruisti lì una nuova dimora, anzi te la diede in premio l’imprenditore edile al termine dei lavori del suo villaggio turistico. Tu ne diventasti guardiano. D’estate si aprivano i cancelli, di inverno restavano chiusi e tu controllavi che mai si spalancassero. Somigliavi a uno dei cherubini posto davanti alle porte dell’Eden.

Vedevi lentamente che intorno ogni cosa mutava, che i mattoni sostituivano le palizzate di legno; che al posto delle stalle sorgevano case; che non c’era più la natura a comandare gli uomini, ma ruspe e betoniere, gru e muratori con la pelle rosolata dal solleone. Addio alle bestie e addio alla natura; te ne fottevi tu, se ne fottevano loro.

Impasta cemento oggi, impasta cemento domani. Chi domina la terra si sostituisce alla natura. Forse questo volevi, mio contadino?

(Già su borderliber.it il 30/03/24)

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Martino Ciano

Amante della filosofia e della letteratura, autore. Laureato in Scienze storiche, giornalista e direttore responsabile della testata Digiesse News dell'emittente Radio Digiesse.
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