Works. Trevisan e l’Italia che drammaticamente lavora
Ché lui lo sapeva già, mentre scriveva le 651 pagine del suo romanzo sul lavoro, che prima o poi si sarebbe rotto il cazzo di tutto e di tutti, in particolar modo della superficialità con cui ogni padroncino, che sia a capo di una fabbrica di cuscinetti o di una industria editoriale, proferisce sempre la solita frase, ossia Non ci sono soldi. Ma più che una frase, Non ci sono soldi è una sentenza che perseguiterà Trevisan fin da bambino, da quando per avere una bicicletta nuova, da uomo, che lo riscattasse agli occhi dei propri amici, tutti dotati di bici-di-ultima-generazione, fu accompagnato dal padre davanti a una fabbrica in cui ha lavorato e in cui ha imparato come va la vita. Le cose te le devi guadagnare e così capisci da dove vengono i soldi. Gli ha detto più o meno così il padre, che voleva insegnargli come si campa, come si diventa adulti, perché un uomo senza lavoro è un vagabondo, un tizio che perde il suo tempo, e siccome il tempo bisogna pur riempirlo con qualcosa, allora bisogna lavorare.
E Trevisan a questa cosa del riempire la vita ci pensa ogni fine settimana. Infatti, quando vede il prolifico Nordest, ammasso di fabbriche pulsanti, di economia ruspante, di felicità acquistabile a rate, fermarsi per due giorni – uno di questi giorni è la domenica, anche detto il Giorno del Signore – si accorge che tutti sono svuotati, depressi, e allora si riempiono di droga, di alcol, di sesso, di tutto ciò che passa sotto i loro occhi purché non si annoino troppo. Così Trevisan ha passato gran parte della sua vita, fin quando non ha avuto il coraggio di dare forza al suo desiderio più grande: scrivere. E che gran scrittore è diventato, ossia una sorta di Thomas Bernhard beat con il piglio polemico alla Pasolini, ma con le mani sporche di lavoro. Insomma, ha capito da subito che l’esperienza diretta ti fa scrivere meglio, ti fa pensare ancora meglio, anche se con l’andar del tempo ti fa rompere il cazzo di tutto e di tutti. E va bene, ce lo devi mettere pure in conto il rischio che se ti logori troppo il cervello, prima o poi, ti ammazzi. Anzi, come diceva Bernhard arrivi alla correzione finale; ma del viaggio ne sarà almeno valsa la pena?
Ora, tutte queste cose Trevisan le fa intuire in questo suo libro monumentale pubblicato da Einaudi. Sì proprio Einaudi, quella grande casa editrice che non si decide a ripubblicare i suoi libri precedenti, perché la fabbrica culturale italiana è così, ha sempre paura di chi sta fuori dal coro, ché in Italia bisogna scrivere con un animo da agente della buoncostume, come un democristiano, come uno che sa sempre stare con un piede di qua e uno di là. E non è un caso che Trevisan ci racconti anche dei democristiani del Nordest. Allo scudo crociato aderivano soprattutto i padroncini e i liberi professionisti… ché bisogna comunque portare il pane a casa, Dio Can!; ché bisogna sempre costruirsi una dimora sicura, farsi una famiglia sicura, farsi una posizione sicura, farsi una vita sicura, Dio Can!. Tanto se sei democristiano puoi anche cambiare partito, perché appari come un uomo qualunque, da riempire all’occorrenza di ideali, di mazzette e di altro, Dio can!... E siccome Trevisan nella vita è sempre stato un geometra, ché quel diploma la mamma e il padre glielo fecero prendere per entrare prima e meglio nel mondo del lavoro, visto che al Nordest come in tutta Italia, la betoniera impazzava e le case venivano su con lo sputo, lui sapeva che la cosa più importante erano i primi rilievi, perché se sbagliavi quelli, poi, tutto il disegno ti veniva male, e allora, ai suoi occhi, il benessere del Nordest altro non era, ed ancora è, un disegno mal riuscito, un aborto sorridente. Dio can!
E siccome io, autore di questo articolo, sono calabrese, posso dire a Trevisan che il tuo libro è una storia italiana, che per molti aspetti, anche la Calabria è come il Nordest… per chi ha la fortuna di lavorare secondo le regole (capita l’ironia?). Voi intanto leggete Trevisan e scoprirete che grande scrittore è, anche se qualcuno gli sta preparando il dimenticatoio.