La bellezza di Proserpina
Uno dei modi per parlare di fenomeni non direttamente accessibili alla nostra esperienza – pensiamo ai movimenti psichici – è quello di adoperare il linguaggio mitico. La cultura greca, così come la psicologia analitica e quella archetipica, si avvalgono di tale strumento per rendere umano, e quindi comprensibile, accettabile ciò che potrebbe non esserlo. Data questa premessa, vorrei soffermarmi sul mito di Amore e Psiche, scritto da Apuleio prima, ripreso ne Le Metamorfosi di Ovidio e infine analizzato da Erich Neumann. In particolare, vorrei porre l’attenzione su quanto del mito precede l’ultimo passaggio, quello in cui Psiche si trasforma in divinità. Come sappiamo, nell’ultima prova Psiche deve discendere negli Inferi e chiedere alla sua regina di donarle un po’ della sua bellezza. Sfamato Cerbero, ella può quindi addentrarsi nell’oscurità infernale e chiedere a Proserpina ciò che l’ha spinta ad affrontare il viaggio. Riceve a questo punto in dono un cofanetto, con l’ordine puntuale di non aprirlo, qualsiasi cosa accada. Ma qual è bellezza reclamata da Psiche? Di certo non parliamo di una qualità superficiale – Psiche, come sappiamo, era già bellissima e il mito stesso ha inizio con l’invidia di Venere, che mal tollera il consueto paragone tra lei e la misera mortale – a cui siamo abituati, bensì di una metafora di identità. Questo ricordando che Proserpina è divenuta regina scegliendo di sposare Ade: questa stessa decisione è maturata da un movimento introspettivo. È il dio del mare, Poseidone, che esegue materialmente il celebre ratto che renderà la fanciulla ingenua, Kore appunto, una donna. Un atto tanto vile quanto necessario. La bellezza di Proserpina, a ben vedere, è in tutto ciò che avviene in quel passaggio dalla fanciullezza all’età adulta. Ha in sé i semi del rapporto con Demetra, tanto nutriente quanto invalidante: la rivoluzione, lo stallo, la maturazione e la consapevolezza della scelta. All’inizio del mito, il principio maschile, totalmente ignorato nel rapporto madre-figlia, s’impone violentemente come portatore di novità e di ingegno, e questo perché costringe la coppia alla ricerca della propria individualità. Ma se vivere in due è più facile e vantaggioso perché alleggerisce il peso della quotidianità, la codipendenza non è certo libertà, anzi, è una forma di egoismo mascherata da buone intenzioni. È solo attraverso il distacco che Kore diventa una persona indipendente e Demetra smette di essere soltanto un principio materno, riscoprendosi anche donna capace di esistere, indipendentemente dalla propria capacità di generare e nutrire. Questo movimento a due permette quello che poi sarà attraverso l’acquisizione, il matrimonio, un nuovo modo di vedere la vita. La novità introdotta è la facoltà di scelta di essere madre, figlia, moglie, amante, vivendo quindi pienamente quelle che sono le fasi naturali attraversate da ogni donna nel corso della propria vita. Allo stesso modo Psiche, per diventare una dea, sceglierà la via della trasgressione, aprendo il cofanetto e svenendo – perché i complessi sono umanamente inaccessibili. Divenuta ormai autonoma, avendo acquisito piena identità, il maschile erotico può tornare a far parte della sua vita. Entrambi i principi sono trasformati. Ci consegnano una relazione piena e matura tra due individui capaci di scegliersi, non più dominati dalle rispettive proiezioni.