La necessità della stanchezza
Così ci ritroviamo gettati nel bel mezzo di un mondo felice che mette a disposizione una vasta gamma di maschere e di personalità da indossare all’occorrenza. Affamati di successo e di ambizione ci muoviamo con il solo scopo di raggiungere un traguardo che, a sua volta, è solo l’inizio di un nuovo tragitto.
Vietato fermarsi, peggio ancora provare stanchezza o sentire dentro di noi il puzzo del fallimento. Non possiamo fallire, toppare, scansare l’obiettivo. Non possiamo permettercelo e tanto meno possiamo accettare che qualcun altro ci sbarri il cammino.
L’uomo che si accontenta è un modello da non imitare; la persona che vive di poco, che non cerca la fama, non è contemplato in questo universo felice e sorridente. È vergognoso che qualcuno accetti il proprio destino, accetti il silenzio, accetti la regola, non sia all’altezza della situazione. Ma se guardiamo attentamente, anche gli uomini di azione, pregni di quell’inappagabile vitalismo che li rende iperattivi, non sono che stanchi, prossimi a indossare le maschere messe a disposizione da una sorridente tristezza, da una sgargiante depressione che viene tenuta a bada da farmici che annullano le emozioni. Così, vivere senza emozioni, distaccandosi per un attimo da sé, diventa un momento di meritato riposo, una vacanza dall’ego.
Nel tempo della felicità illimitata, la tragedia dominante è quella dell’uomo che si dà in pasto a ogni avventura, che mette in gioco se stesso per dimostrare solo a se stesso che non c’è altro uomo all’infuori di lui. La soddisfazione sta in questa filastrocca che viene cantata a squarciagola. E mentre il copione della contentezza viene recitato con attenzione, qualcosa ci divora, ci chiede di cambiare; ma più anela l’anima verso la liberazione dallo stress quotidiano, più qualcosa la trattiene, la lega e la salda a un corpo che deve correre, resistere, vincere mille volte. E più ardua è la sfida che ci imponiamo più sale la tensione e la febbre, e il dolore, e l’angoscia, e l’ansia, ma l’importante è non dimostrare la debolezza.
Benedetti quindi gli uomini stanchi, senza traguardi, senza obiettivi, che contemplano la vastità e se ne lasciano divorare, perché essere nulla costa tanto e costa fatica.