“L’ossimoro vivente”, il tributo a Pasolini di Donato Di Poce
Non è stato mai semplice fare i conti con Pasolini, e non lo è a ragione oggi che è acclamato a gran voce da un presente che ne smentisce la voce e, in eccesso di approssimazione, finisce col celebrarlo come un testimone senza testimonianza. C’è il rischio infatti che dietro le commemorazioni odierne si perda di vista il Pasolini autentico, l’uomo dall’animo inquieto divorato dal demone dell’arte, il più grande poeta italiano dopo Leopardi, come scrive Donato Di Poce nel suo nuovo libro P.P.Pasolini: l’ossimoro vivente, edito da iQuaderni del Bardo edizioni. Lo stesso Gianni D’Elia, nel suo L’eresia di Pasolini (Effigie edizioni, 2005), dissertando sul concetto di “Avanguardia nella tradizione” ci fa convenire sul fatto che: “Leopardi e Pasolini nell’Ottocento e nel Novecento siano i due poeti d’avanguardia della nostra tradizione […] campioni di un’avanguardia non solo letteraria bensì di pensiero storico e sociale e politico: poeti in-civili, d’opposizione”.
Ma Pasolini fu molto più di un poeta, e il libro di Donato Di Poce sembra volercelo ricordare, guardando essenzialmente all’uomo meno chiacchierato: compare, infatti, fra le pagine il Pasolini nascosto ai più, quello che canta in friulano, oltre che autore de Le ceneri di Gramsci, il santo infame che fa dell’ateismo una religione anarchica, che non accantona tuttavia mai un vitale e disperato bisogno religioso di verità. È il Pasolini fieramente eretico, che porta in sé i conflitti ossimorici del nostro tempo, interprete nel fuoco incrociato del reale delle trasformazioni della società, il Pasolini “che vuole conciliare dialetto e lingua, cattolicesimo e marxismo, poesia e prosa”, il Pasolini di “sperimentazioni e conflitti interiori e sfoghi”, inevitabilmente se stesso nelle interviste e nelle poesie. In altre parole, compare tra le pagine di Donato Di Poce l’ossimoro, il Pasolini che è se stesso nella contraddizione del vivere, che ci chiama in causa nella sua lezione più carnale, nel suo “cercare la verità e la vita negli opposti, contemplare tutti i mondi, accogliere e accettare gli opposti”.
Ancora oggi disturba la sua libertà non omologata, il suo sguardo indagatore sul mondo, che ci consegna attoniti al nostro tempo, disturba quel pasoliniano essere fieramente di troppo in un’identità culturale da disconoscere, ora che non c’è da chiedersi neppure dove stia andando la società e dove l’uomo – a processo concluso. Oggi almeno l’uomo Pasolini è al riparo dai casi giudiziari, dall’irresponsabilità dei contemporanei, di cui sentiamo ancora il peso della complicità. Fare i conti con Pasolini disturba, oggi forse persino più di ieri, nonostante il nostro tempo sia avido di profeti, di controcanti dal passato da tumulare o da organizzare in spot pubblicitari. Disturba la sua provocatoria contraddizione che gli impose l’emarginazione, che fu corollario di una libertà autentica di cui, più che mai, sentiamo il bisogno: le sue parole, flebili e violente, sono grida strozzate sulle macerie dell’uomo contemporaneo, sulle ceneri della storia, su ciò che resta di un mondo consumato dalla disperata vitalità della solitudine.
Pasolini non fu mai profeta in patria: da poeta anarchico, corsaro e luterano prestato al giornalismo, diede voce agli ultimi, senza sottrarsi alla caciara di un mondo sdentato e irriconoscente, in mutazione antropologica e linguistica, di cui però scelse di essere testimone. Un testimone che farà della contraddizione dell’ossimoro la sua vita.
C’è nell’opera antologica di Donato Di Poce lo sguardo pasoliniano sul mondo in cui “l’uomo è il virus e al tempo stesso l’antidoto del genere umano”. Pasolini si mostra tra le righe nel frammento, col piglio amabilmente e finemente contraddittorio, egli è disperatamente se stesso. Nella selezione del frammento c’è un’intimità da preservare, l’intimità dell’anima, ciò che sfugge alla costruzione idealizzata del presente. Come ci ricorda l’autore, di Pasolini abbiamo fatto scempio dei suoi tre corpi: “quello fisico, quello mentale, quello poetico. Tre corpi controcorrente che davano fastidio perché troppo autonomi e troppo liberi, e trasversali in contaminazione con altri due corpi, quello sociale e quello poetico cosmico”. È lo scempio dell’incomprensione. Mancata comprensione che si traduce nel trionfo del personaggio mediatico sul poeta corsaro, che deriva dall’impossibilità stessa del presente di accettare la contraddittorietà del reale, dalla difficoltà evidente dell’uomo di accettare l’uomo.
Pasolini fu prima di tutto un irregolare, un uomo in rivolta, nel suo tempo, contro il suo tempo, contro se stesso, contro di noi, immerso nelle contraddizioni di una società con cui non ha potuto fare a meno di misurarsi. L’ossimoro è la condizione, che obbedisce all’arte: è il riconoscere che l’artista, nella sua profonda vocazione alla complessità, che è anche vocazione al martirio, è intimamente se stesso solo nella contraddizione. Intanto sotto i riflettori resta l’immagine di un Cristo laico, che si autoaccusa, che si immola per l’in-civiltà, come ultimo possibile baluardo del vivente. L’in-civiltà come arma di resistenza, come forma di tutela delle realtà particolari – spontaneamente in contraddizione l’una con l’altra – come forme rurali di controcultura, in via d’estinzione, che invocano pietà dal livellamento omologante della “civiltà” di massa.
Pasolini incompreso, poeta eretico, polemico recensore di se stesso e naufrago che non ha saputo mettersi in salvo da se stesso e dal suo tempo, voce d’opposizione all’esistente: il peso della sua testimonianza non si è svuotato con la morte. Pasolini screditato dai suoi contemporanei, rischia di essere screditato anche da chi oggi lo celebra, se non ne considera la contraddittoria complessità: così “la morte non è / nel non poter comunicare / ma nel non poter più essere compresi” scriveva in Una disperata vitalità.
Donato Di Poce ci consegna quindi, nel suo ultimo libro, una lettura dell’uomo, al riparo da interpretazioni strumentali, moralistiche o mediatiche, ancora vivente nella sua produzione. Da lettore appassionato di Pasolini – passione coltivata anche grazie ai consigli di Roberto Roversi – ci permette l’immersione in un mondo da leggere contro il presente, e che è sempre attuale ad ogni rilettura. Con sensibilità l’autore compie un’accurata selezione di passi dell’opera pasoliniana, arricchiti da commenti e da letture critiche, permettendoci di apprezzare un vero e proprio quaderno d’artista, impreziosito dai disegni di Max Marra, un affresco in frammenti che resistono alla prova del tempo. È in virtù di tale resistenza dell’opera di Pasolini al tempo che ci sentiamo chiamati in causa, non solo come lettori, ma come uomini capaci di azione nel mondo, come costruttori di futuro e di vita nella disperata vitalità del presente.