Sette poesie inedite di Patrizia Garofalo
Impazienza del punto di fuga nelle sospensioni –
assenza di domeniche
Nella mano che insegue
le tue vertebre
il fianco prestato alle parole che non possono dire
la voce come un suono d’acqua
un luogo in cui disperdersi.
Non sapremo mai da quanto lontano
guardino gli occhi
quali cere
dal fuoco delle stelle cadranno
come lacrime a infoltire i fiumi che solcavano
la terra dura dei pianeti.
Nulla sanno della polpa i giorni
Con lunghissime unghie
il corpo della notte ha graffiato la corteccia.
Vive d’aria
e d’acqua che risale
stanza chiara dietro agli occhi – altrove
che immenso (come dire
incommensurabile) il senza volto
del tuo cielo assente
non tocca –
vive dentro imperfette disperazioni – scavata dove
luce non assedia e nasconde.
Gli uccelli hanno cantato per noi sul confine
della notte che cede il passo
in quel lasso
in cui solo è luce
carta bianca.
Dissolti sensi dentro
azzurri a picco
murati
assordante fuori
la voce muta del vento
nelle terre riarse
gemme dure ai rami
ombre dalle case
morte
a imbrigliare
l’occhio
negli angoli nascosto
Nelle campagne
dietro al mare
dalla trama fitta
l’ombra intravista
subito scompare.
L’erba è secca intorno se ti volti
vedi corpi ed anime migranti
vagare in un possibile che sfuma
sei tra coloro che si aggirano come spettri
senza terra e senz’aria nelle stazioni
di fine corsa – con il nulla
conclamato delle mani
svanite al tocco.
Anche il sospendere passa.
Se l’aria è ferma o si muove
il tempo è uno
che non s’accorge di nulla.
Io per questo nel tempo
non ci so stare.
Se c’è una radice nuova
è sempre qualcosa che s’invola
da terra compatta
o sbriciolata ad arte.
C’è un contadino antico radicato
nel momento in cui siamo
in qualche luogo
che di un altro tutto ci parli.