“Un poeta al rogo”, il Giordano Bruno di Donato Di Poce
A Giordano Bruno, martire del libero pensiero, poeta eretico del quale si parla più di quanto si legga – il “poeta-philosophus” dei furori – è dedicato il libro in uscita di Donato Di Poce, edito da Eretica Edizioni.
Con le parole dell’autore leggiamo nelle prime righe dell’Introduzione: “Quello che cercherò di testimoniare con questo saggio ‘Un poeta al rogo’ su Giordano Bruno, è che Giordano Bruno l’eretico, Bruno il paladino del libero pensiero, Bruno il condannato al rogo, era soprattutto colui che propose consapevolmente una filosofia nuova così come Galileo delineava una scienza nuova, ed era anche un insospettato scrittore di teatro, un precursore di un rinnovamento letterario e una poesia nuova, eretica, eroica, furiosa e cosmoteandrica”.
L’opera prende in esame in particolar modo i testi poetici di Giordano Bruno contenuti nei Dialoghi filosofici italiani, dall’autore raggruppati in due parti e commentati distintamente in due saggi.
Leggiamo ancora nelle pagine introduttive di Donato Di Poce: “Giordano Bruno, tra il 1582 e il 1585, Viaggia e scrive moltissimo. Si reca prima a Roma e in altre città italiane, poi all’estero. La molteplicità di elementi che confluiscono nel suo pensiero lo portano a viaggiare per tutta Europa. Le città di Ginevra, Parigi, Oxford, Londra, Praga, Francoforte, Zurigo, lo accolgono nelle proprie università, dove le sue infiammate lezioni provocano entusiasmi e critiche. Entra in contatto con studiosi e principi e scrive moltissimo.
A Parigi pubblica:
- Il Candelaio, pubblicata nel 1582 ma concepita nel 1576.
- De umbris idearum (“Le ombre delle idee”) 1582.
A Londra pubblica i Dialoghi Italiani, capolavoro filosofico di tutti i tempi, epicentro del suo pensiero filosofico e poetico;
- Della causa, principio et uno (1584),
- De l’infinito, universo e mondi (1584),
- La cena de le ceneri (1584),
- Lo spaccio della bestia trionfante (1584)
- La cabala del cavallo Pegaseo (1585)
- De gli eroici furori (1585)
E su queste opere filosofiche–poetico–letterarie, (al di là della sterminata e multidisciplinare produzione di Giordano Bruno che ho concentrato le mie riflessioni, con focus specifico sulla sua poesia.
Schopenhauer ha scritto che tra tutti i filosofi Bruno è l’unico che si avvicini a Platone eppure la sua uccisione al rogo nel 1600, rischia di far passare in secondo piano la sua grandezza filosofica. Come spesso succede ai grandi, a Bruno è successo di essere più citato e acclamato che non letto e persino di finire nelle dispute tra studiosi Bruniani e filologi (si veda quella celebre tra Ciliberto curatore del Meridiano Mondadori e Aquilecchia, curatore delle opere per UTET e Les Belles Lettres).
Ora rimandando alla imponente bibliografia riportata a fine libro per approfondimenti sulla vita, vicende dell’inquisizione e sulla sua morte, le altre opere Bruniane e interpretazioni critiche e filosofiche sul suo pensiero, ho concentrato la mia attenzione su un aspetto poco indagato su questo autore così complesso e prolifico come Giordano Bruno e cioè quello letterario–filosofico e più propriamente poetico, esercitato perlopiù sugli otto testi sopra descritti.
Dal mio modesto punto di vista, di quarantennale appassionato Bruniano, e di poesia, (soprattutto quella civile–filosofica), devo rilevare che Giordano Bruno non è stato solo un martire del libero pensiero, un pensatore e scrittore geniale, ma un poeta e cantore del cosmo infinito, il primo e insuperato filosofo ad andare oltre Dio, la morte, la materia e il pensiero, in una parola a pensare l’infinito.
Ciò che caratterizza e attualizza il pensiero di Bruno e dunque la sua intera produzione filosofico–letteraria, è un feroce e indomito ardore polemico (eroico furore) contro la tradizione e le istituzioni culturali”.
Al vitalismo cosmologico, Bruno aderisce con un vitalismo speculativo e poetico, affermando che “la poesia deve essere opera inventiva e non imitativa”. Riteneva, inoltre, che l’amore fosse “la più ampia forma di volontà” e dunque guida per l’intelletto e la ragione. “L’amore furioso è visto da Bruno come un’ascesa eroica, solitaria e volontaristica dell’uomo (Dio in terra) a Dio, e per comunicarcelo si avvale di una scrittura contaminata e plurilinguistica (prosa, poesia, latino etc…) in una sorta di copulazione linguistica e speculazione filosofica ricca d’indignazione polemica e d’invettiva.
Quanto abbiamo modo di constatare, riferendoci all’Introduzione, è che “Bruno rivela nei suoi scritti un atteggiamento ‘contro’, oppositivo, critico e libero e rigetta le certezze e i dogmi della letteratura ufficiale, pedantesca, che fa della Poetica di Aristotele il suo credo, intendendo l’attività poetica come «eroico furore», basata su un’ispirazione diretta, priva di mediazioni, di matrice quasi divina. Altra suo rifiuto dei canoni dell’epoca era l’imitazione petrarchesca, che attacca ferocemente utilizzando l’invettiva, il comico, la satira, il plurilinguismo del Tansillo e dell’Ariosto (mescolando all’Italiano frasi latine svuotandole di significati), e nel poesimetro degli EROICI FURORI mescolando prosa e poesia, e spianando la strada a certe operazioni letterarie plurilinguistiche e sperimentali future di Leopardi, Gadda e Pasolini.
Bruno utilizza il diffusissimo (e Platonico) genere del dialogo – in italiano ne scrive sette, tre dedicati alla cosmologia e alla metafisica (La cena delle ceneri, De la causa, principio et uno, De l’infinito universo e mondi), quattro all’etica (Lo spaccio della bestia trionfante, La cabala del cavallo pegaseo, L’asino cillenico, De gli eroici furori)”.