Appunti su un itinerario violento. Divagazioni da “Oltrepassare” a “Itinerario della mente verso Thomas Bernhard” di Martino Ciano

L’ultimo itinerario di Martino Ciano è letteratura che sa aprire ferite e che non si preoccupa dei punti di sutura; catabasi nuda nella notte dell’uomo che tenta, anche stavolta, come nel suo lavoro precedente, di oltrepassare la superficie visibile delle cose.

Il bisturi è una prosa incisiva, fluida, nera, che sa operare rinunciando agli anestetici; una prosa che si preoccupa solo dell’essenziale: della nudità e degli organi – pur permettendoci l’abbandono a un indefinito squisitamente letterario.

È un libro che rinuncia alle etichette, alle definizioni. Itinerario complesso nella mente umana, nell’abisso della solitudine, della contraddizione, del peccato originale di essere vivi a tratti, in un tratto di penna, nello spazio ristretto della mancanza di ordine e di libertà autentica. Un antiromanzo – la sola letteratura forse oggi possibile – di (de)formazione, un violento miraggio adolescenziale in cui l’uomo è un dio fittizio imperdonabile, artefice del suo male, e il suo contrario, bisognoso di una guida per scegliere il proprio finale.

Lo scrittore calabrese, tuttavia, non si accontenta della ferita da taglio, mette brutalmente il dito nella piaga: la violenza diventa fenomeno palpabile, spaventosamente razionale, parossismo. Si affida alla penna per fare opera di disvelamento, per demolire il muro d’ipocrisia che ci separa dalle scomode verità che rinneghiamo, sulla natura depravata dell’umanità – o, più precisamente, dell’in-umanità che fa i conti con il sotterraneo fisico, con il sangue, lo stomaco, le budella.

Un viaggio nel disprezzo nudo, nella repulsione dello stare al gioco fra le cose del mondo; un viaggio che è anche uno sprofondare in un indicibile che si teme, che parla con i mostri della mente, in un indicibile in-umano – inteso come interiore, ma anche come ciò che l’uomo non riconosce di sé, come disconoscimento. Un viaggio in uno spazio post-decadente, davanti a un camino, nelle divagazioni, nei ricordi, nelle falsificazioni, nel torpore di omicidi inconfessabili.

Esiste un fil rouge che lega gli ultimi due lavori dell’autore calabrese – pubblicati a breve distanza l’uno dall’altro – in cui il confine fra amore e morte è impercettibile, spaventosamente indistinguibile, ma sempre marchiato dalla sofferenza, dall’autodistruzione, dall’orrore macerato, dal senso del tragico. Due libri strazianti, ma autentici, perché lo scrittore – sia pure in una prosa che con maestria sa coltivare il vago, il chiaroscuro, la contraddizione – ci mette tattilmente a contatto con la verità: il cinismo e la violenza spogliano l’uomo, lo mettono a contatto con la sua nudità. Negli eccessi di una passione accecante ci rimane in bocca, fra le pagine, un indistinto senso del crudo, mentre il pensiero scritto fluisce, come un getto di sangue che sa sporcare e purificare, un getto che sa sporcare di rosso.

La verità fluisce con la prosa, lascito di una passione triste che non fa sconti. Si annida nel pensiero, nella mente, che diviene una trappola glaciale nella quale è possibile snocciolare ricordi di famiglia e scrivere su lapidi senza data, con devastante profondità – quella del lettore-autore, che sa dissimulare e falsificare, senza rinunciare al vero che appartiene alle possibilità.

Leggendo Itinerario della mente verso Thomas Bernhard si diventa interpreti attoniti di un mondo letterario dalle tinte scure, di una Calabria nera che porta in sé il germe della sua distruzione. Martino Ciano è un cantore che si veste a lutto o il celebrante del funerale grottesco di una terra dai confini indefiniti, vittima del suo stesso maleficio profetico, di una terra che sa ghermire tutto ciò che possa appartenerle iure sanguinis. Vede il maleficio profetico della sua terra stendersi come una notte ancestrale, che si insinua fra le strade degli uomini che quotidianamente lavorano, e che impunemente covano sogni di sterminio e di autodistruzione. È un maleficio che entra in casa, in famiglia, con l’utile quotidiano: che si alimenta di dosi di rabbia, istintivamente e fieramente grottesca. È un maleficio che ha natura spietatamente razionale, che ha natura di un’opera elucubrata, che implode in una violenta confessione su carta.

Gli uomini, vittime e carnefici, fanno i conti con un nero razionale che atterrisce e distrugge, sanguigno e sotterraneo, interiore – nel senso, ancora, interno, delle interiora umane – che, in quanto tale, ci appartiene intimamente. Della vita scritta ci resta la rappresentazione di un gioco al disvelamento che, anche quando punta alla nudità, si veste sempre d’inganno, o almeno di un indefinito e ambiguo ripensamento, in un inferno di nulla, in cui cede ogni appiglio – e verità e giustizia si confondono.

Leggiamo, testimoni di un inferno letterario in cui tutto è fieramente contraddittorio, in cui si legge la non conclusione del vivere: la finzione letteraria si sovrappone alla vita e ci ripulisce delle certezze, dei punti di riferimento. L’uomo è imbevuto di questa contraddizione, dell’essere letteratura viva: l’autore non lo risparmia, pur avendone compassione, più spettatore che agente partecipe di una detonazione intima, freudiana e spietatamente sanguinaria. L’inumanità sotterranea dell’uomo si dissotterra, viene allo scoperto ed è un orrore, sia pure nella finzione letteraria, che ha ben poco di libresco. La prima persona narrante chiama in causa il lettore, partecipe della deformazione, mentre la sua mente è in trappola, portando dentro il taglio, l’abrasione, le ferite del reale senza riconciliazione.

Nello spazio scritto i personaggi di Martino Ciano sembrano abbandonarsi all’inevitabile, portando, nello scivolamento ottuso, il marchio della violenza per essere disperatamente se stessi e, al tempo stesso, per smarcarsi da se stessi, dalla propria inazione. Tutto scivola così nell’ineluttabilità, la penna scivola e collassa sotto il suo peso. A noi rimane il turbamento conseguente a un’intuizione fulminante: si è se stessi solo in una spaventosa contraddizione, una contraddizione violenta, un baratro senza fondo in cui non ci si salva, neppure con una guida – il fantasma opaco di Thomas Bernhard – con cui misurarsi nel fingimento della vita, nella catabasi della mente e dell’uomo.

Dal turbamento discende una consapevolezza amara: non possiamo non temere l’uomo, dopo aver buttato giù il muro, dopo aver tirato giù il sipario; non possiamo non temere l’inumanità della soggettività, nonostante sia imprescindibile per scrivere, per sanguinare, per scoprire se stessi e le proprie contraddizioni, per tracciare l’itinerario crudo dell’umanità rivelata, che sì, ha qualcosa di divino nel suo abbandono – nel suo catarro.

Author image

Gianni Eros Russo

Dottore in giurisprudenza all'Università Federico II di Napoli, si interessa di filosofia del diritto e di filosofia politica. Scrive poesie e racconti brevi. È cofondatore e direttore di eretici.org.
Iscrizione effettuata Eretici
Ottimo! Ora completa la procedura Eretici
Bentornato! Hai effettuato il login con successo.
Unable to sign you in. Please try again.
Successo! Il tuo account è ora attivo. Controlla la tua email se non hai ancora effettuato l'accesso.
Error! Stripe checkout failed.
Success! Your billing info is updated.
Error! Billing info update failed.